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Viaggio On the Road nel Selvaggio Outback Australiano

Gennaio 2015, tre giorni di viaggio on the road attraverso le lande desolate del Western Australia meridionale. Alla scoperta del comunemente noto Outback australiano, un luogo ostile che si estende per milioni di ettari su tutta l’area del Continente Rosso.

Autore: Raianaraya Nature Experience

L’Australia è un enorme continente situato tra l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano. Sin da quando il famoso esploratore James Cook raggiunse le coste del New South Wales, questa terra diventò meta di viaggiatori, vagabondi e curiosi, oltre ad essere colonia penitenziaria inglese. I primi sbarchi resero immediatamente chiaro quanto difficile potesse essere sopravvivere in quella sconfinata landa desolata. La perlustrazione era complessa e di addentrarsi nel deserto non se ne parlava neanche; come poter affrontare una traversata in un luogo tanto arido e secco senza conoscerne assolutamente niente?

Tutto sommato, nei primi anni dopo la scoperta dell’Australia nel 1770 d.C., i nuovi coloni evitarono di allontanarsi troppo dall’acqua per non rischiare inutilmente in imprese azzardate. Dal secolo successivo, però, dovuto anche al rinvenimento di giacimenti d’oro nell’entroterra, si cominciò ad ipotizzare l’utilizzo di animali alquanto resistenti e adatti alle traversate. Quali esseri viventi potevano assolvere tale compito meglio dei cammelli e dei dromedari? Probabilmente nessun altro sul pianeta. Fu così che si iniziarono a importare migliaia e migliaia di cammelli e dromedari dall’Afghanistan, dall’India e dalla penisola arabica. Ad oggi, si conta una popolazione di queste specie superiore al 1.000.000 su tutto il territorio nazionale.

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Outback Australiano

Nonostante il clima ostico e le temperature tra le più calde al mondo, l’Outback australiano offre degli scenari suggestivi e ospita una fauna locale assolutamente unica. Ad esempio, alcune specie autoctone sono quelle che appartengono ai canguri, ne sono diverse e di vario genere come i wallaby, wallaroo, il canguro rosso e il canguro grigio occidentale. Ma in questi remoti antri vivono anche altre specie animali come i quokka, le aquile australiane, gli struzzi, i dingo, ossia una sorta di cani selvatici, i varani e i già menzionati cammelli.

Per circa l’80% dell’intero territorio australiano, l’outback è la sola realtà che si estende per circa un milione di chilometri quadrati. Vegetazione quasi assente si alterna a porzioni di roccia e deserto dal tipico colorito rossastro, una colorazione che ha origine dalla forte presenza di ferro nel suolo. La natura ha scolpito e modificato questo luogo arcaico, lasciando ad un occhio attento la possibilità di apprezzare dei paesaggi suggestivi e del tutto singolari. Proprio per questa ragione, una volta in Australia, era indispensabile osservare con i propri occhi questa meraviglia naturale.

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Esperance, Western Australia

Dopo aver lasciato Albany, in compagnia di due grandi esploratori come me, avevamo raggiunto la città costiera di Esperance. Nessuno aveva mai sentito il suo nome prima di allora, eppure, una volta entrati nel paese, questo luogo ci parve essere sempre più un paradiso terrestre. Il bianco candido della spiaggia e l’acqua celeste dell’oceano si fondevano dando vita ad uno scenario da sogno. Inoltre, a bordo della nostra magnifica Holden Commodore del 96’, raggiungemmo una terrazza panoramica attrezzata con vista mare.

Uno di quei servizi che ho amato da subito in Australia sono i BBQ elettrici disposti in aree attrezzate dove si può facilmente cucinare per poi pulire e permettere a chi vorrà vivere la stessa esperienza di trovare il barbecue in condizioni da poter essere utilizzato ancora. Quel giorno, riforniti di salsicce e altra carne comprata al Coles, pranzammo in questo gazebo mentre un delfino, ad intermittenza, si divertiva a sondare una precisa area del mare. Un pranzo inconsueto in una città sconosciuta senza che fosse neanche previsto sulla nostra tabella di marcia.

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Che la Traversata abbia Inizio

Allietati dal piacevole pranzo con vista mare e a costo zero, mi misi alla guida della nostra comodissima station wagon. Eravamo così entusiasti per l’avventura che ci aspettava che non stavamo più nella pelle. Percorrevamo l’infinita lingua d’asfalto nell’outback desertico carichi di gioia e per la prima volta stavamo entrando in una zona in assenza di linea. Da quel momento in poi, per circa tre giorni, non avremmo più avuto copertura telefonica.

Macinammo circa 500 chilometri, superando diversi minuscoli paesini come Norseman, Fraser Range e Balladonia. In alcuni casi, il nome del luogo che compariva sulle mappe risultava essere un semplice distributore di benzina con una baracca in legno malandata e, nei casi migliori, un motel alle spalle. Cercammo un posto dove accamparci per la notte e infine trovammo una piazzola in sterrato dove sostava soltanto un altro van. Aspettammo che calasse il sole, ammirammo le luci del tramonto accendere la terra rossa e creare un’ illusione ottica, come se tutto d’improvviso s’infuocasse e poi, in un istante, la notte portasse ogni luce nelle tenebre.

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Eucla National Park, Western Australia and South Australia border

Il giorno seguente ci svegliammo presto. Sul nostro fornellino a propano riscaldammo alcuni cornetti vuoti e li farcimmo con la nutella, ebbene sì, anche nel continente australiano non hanno potuto farne a meno. Circondati da qualche eucalipto e con i primi raggi che affioravano all’orizzonte, ci godevamo una tranquilla e silenziosa colazione nel bel mezzo dell’outback australiano, approfittando della temperatura ancora mite. Una spazzolata ai denti, una controllatina alla mappa e via di nuovo per la nostra strada.

In appena trecento chilometri circa, dopo aver attraversato in poco più di ventiquattro ore qualcosa come mille chilometri, raggiungemmo un luogo che nessuno di noi tre avrebbe mai più dimenticato: Eucla, il confine tra il Western Australia e il South Australia. Nei pressi di questo parco nazionale ci sono diversi look out, ossia punti panoramici da cui poter scorgere l’orizzonte che si perde a vista d’occhio. Ad Eucla, dopo chilometri e chilometri di asfalto e deserto, ci imbattemmo in alcuni dei paesaggi più belli che avessimo mai visto in vita nostra. Muraglioni di scogliere a strapiombo sul Mare del Sud, sconfinate spiagge e dune di un bianco candido quasi irreale e scenari così immensi da sconvolgere la vista di chiunque. Eravamo smarriti, ma totalmente felici di esserlo. Adesso non volevamo altro che tutto ciò continuasse ad accadere e che non finisse mai.

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Un Incubo che si materializza: Fermi nel deserto!

Dopo aver assistito ad uno degli spettacoli più affascinanti della natura e aver consumato un veloce pranzo con dei tramezzini home made, rimboccammo la high way in direzione di Adelaide. Viaggiammo per l’intero pomeriggio fino alle prime luci del tramonto, quando d’improvviso un tonfo accompagnato da un forte sussulto e da un lungo stridio metallico ruppe l’atmosfera di pace. L’incubo che diventa realtà, le paure più profonde che si concretizzano in un battito di ciglia: una foratura dello pneumatico nel bel mezzo del nulla e qualche istante prima che cadessero le tenebre.

Svuotammo l’intero cofano posteriore dell’auto, backpack, chitarra, fornellino, termos, acqua, cibo, materasso e borse varie per recuperare la preziosissima ruota di scorta. Iniziammo a sbullonare quel che era rimasto della ruota andata e una volta fatto ciò, non restava che inserire il nuovo pneumatico e tutto avrebbe preso la piega giusta. Il mio amico cercò di agganciare lo pneumatico di scorta al blocco di supporto, ma niente, tutto inutile, non entrava in nessun modo. Incominciammo a darci il cambio per colpire la ruota affinché in qualche maniera riuscisse a aderire al supporto, ma era complicato. I fori della ruota di scorta erano di misura diversa e non c’era quindi alcun modo per poterla far entrare. La serata stava per prendere la peggior piega possibile: da soli, di notte, senza copertura telefonica e con una gomma esplosa.

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Non tutto è perduto: l’arrivo a Ceduna

Ci demmo il cambio più e più volte, mentre, il sole ormai era calato all’orizzonte cedendo il posto a quel pallido chiarore della luna che a stento illuminava la nostra auto e l’outback attorno a noi. Avevamo quasi perso le speranze quando un calcio ben mirato del mio amico finalmente fece entrare la ruota in tre punti. Tutti e tre ci guardammo e con uno sguardo d’intesa avemmo la stessa reazione: correre ad avvitare lo pneumatico anche se storto. Completammo il lavoro e decidemmo di cominciare a muoverci ad una velocità minima, cercando di comprendere se così la ruota tenesse. Ogni dieci minuti fermavamo l’auto e controllavamo se i bulloni fossero ancora fissi.

Le prime due, tre volte alcuni bulloni si allentarono di molto, successivamente, per qualche misteriosa ragione e per volere di qualche magnanima divinità celeste, i bulloni si fissarono e riuscimmo, procedendo ad una velocità media di 40 km/h, a raggiungere un distributore di benzina e fermarci per la notte. Al mattino seguente, fummo svegliati da una decina di corvi, tra cui uno piuttosto burbero che cominciò anche a picchiettare sul tettuccio dell’auto. Per il mio amico era un brutto segno, invece, contro ogni previsione, in mattinata riuscimmo ad arrivare al primo paese con forme di vita umane dove con molta difficoltà spiegammo che la nostra station wagon fosse la nostra casa in quel periodo e che avremmo avuto bisogno di una riparazione al più presto.

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Missione Compiuta, il viaggio nel selvaggio Outback è salvo

Un muretto in pietra, sabbia e sterrato sotto i nostri piedi, uno dei compagni d’avventura, preso da un momento di malinconia, strimpellava qualche nota sulla sua chitarra, mentre sullo sfondo, il nulla cosmico si perdeva a vista d’occhio. Dopo qualche ora, la nostra auto ci fu riconsegnata pronta e pulita. Finalmente, eravamo riusciti ad ottenere una vittoria importante sull’outback australiano. L’incubo era stato allontanato e così potevamo riprendere il nostro viaggio oltrepassando la zona più wild di quella nostra traversata. Procedemmo ancora per giorni, ma questa è un’altra storia.

Le avventure in Australia non finiscono qui, ma nel frattempo, altri istanti nel continente rosso sono già nel nostro Blog.
Raianaraya Nature Experience

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Irpinia, il Cuore della Campania

L’Irpinia è una florida terra adagiata tra le vallate centrali della regione Campania. Un luogo dove natura, storia e tradizioni locali creano un’atmosfera singolare che solo chi vi è stato può comprendere appieno

Autore: Raianaraya Nature Experience

Nell’area territoriale adagiata tra le dolci colline e i modesti rilievi appenninici della Campania, sorge l’Irpinia; una terra che conserva ancora oggi quei tratti storico-culturali che nei secoli ne hanno caratterizzato la sua evoluzione. Compresa prevalentemente tra le verdeggianti vallate della provincia di Avellino, l’antica terra degli Irpini confluisce a sud con la splendida Salerno e con i confini della Basilicata.

Sul versante orientale, la città medievale di Ariano Irpino indica gli ultimi chilometri prima di addentrarsi nella regione costiera della Puglia, mentre, il fiume calore, originatosi dai Monti Picentini, scorre placido e conduce attraverso le naturali conformazioni geologiche alla vicina città delle streghe, Benevento. Infine, ad occidente, si estende la cosmopolita e caotica Napoli.

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Gli Hirpini e il Lupo

Le origini dell’Irpinia tutt’oggi non sono del tutto chiare. Ciò è dovuto alla mancanza di fonti storiche che ne testimonino il suo corso in modo lineare. Tuttavia, grazie alla riscoperta di alcuni reperti di epoca romana, si è giunti alla conclusione che questa popolazione avesse pieno controllo del territorio già prima delle guerre sannitiche, IV-III secolo a.C.

Infatti, le gesta degli irpini sono decantate già ai tempi delle guerre espansionistiche di una Roma allora repubblicana. Stanziati pressappoco nell’odierna Campania tra le valli dell’Ofanto, del Sabato e dell’Ufita, questa stirpe di gente appartenente ai Sanniti parlava l’osco, una lingua condivisa da buona parte dei popoli italici meridionali nei secoli antecedenti all’impero romano.

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Curiosa è l’etimologia del nome con cui questo popolo decise di farsi chiamare: Hirpini. Parola che deriva da Hirpus, ovvero lupo in osco. Si narra che la gente irpina fosse di indole rozza e belligerante e che per queste ragioni si identificasse orgogliosamente con la figura di Marte, Dio della guerra, della forza e della virtù umana.

Gli Irpini, inoltre, mostravano un considerevole rispetto per un animale selvaggio locale. Una bestia che ancora oggi rappresenta la forza, il coraggio e lo spirito di resistenza: il lupo. Presumibilmente, dovuto forse anche alle sue caratteristiche mitiche, la tenace e vigorosa figura del lupo venne accostata alla divinità Marte. Difatti, divenne simbolo della stirpe irpina contraddistinguendola a lungo.

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Tramonto dalla cittadina di Mirabella Eclano (AV), Campania

Mito e leggende: dalla Janara ai Lupenari

Quando si è piccoli, i nostri nonni fanno sfoggio di tutti quei racconti e di quelle credenze locali che lasciano chiunque le ascolti sempre alquanto affascinati. In fondo, in ogni cultura del pianeta compaiono leggende o miti, narrazioni misteriose e talvolta occulte che trattano di elfi, divinità, demoni o qualsivoglia entità magica. In effetti, qualsiasi popolo è come se attingesse le proprie tradizioni da creature ed eventi sovrannaturali.

Allo stesso modo, anche l’Irpinia appare impregnata di misticismo e scenari fiabeschi. Tra le figure più rinomate, una posizione di rilievo è assegnata ai mitici lupenari, uomini che, nati durante la notte di Natale, hanno osato sfidare Cristo e per questo sono condannati ad un’esistenza da dannati. Infatti, ad ogni luna piena, i poveri malcapitati si trasformano in licantropi e vagano tutta la notte per i boschi e le campagne del posto.

Lupi mannari, Irpinia, Campania

Nell’area centrale della Campania è spesso menzionato anche il magico e maligno scazzamauriello. Si narra che questo elfo fatato sia di piccole dimensioni e sia vestito in abiti scuri e cupi. Nel cuore dell’Irpinia, l’entità oscura si presenta sotto forma di un omuncolo peloso e pare si diverta a disturbare il sonno delle persone sedendosi sulla loro pancia durante la notte.

Infine, un’emblema del beneventano, ma che si è esteso anche nelle vicine terre irpine è la Janara. Una strega malvagia, abile negli incantesimi e profonda conoscitrice delle erbe naturali, che la notte vaga per tormentare i sogni degli sventurati. In origine, la janara di Benevento soleva incontrarsi con altre fattucchiere sotto di un noce dove, insieme, compievano riti e veneravano il demonio. Queste sono soltanto alcune delle decine di leggende che circolano da tempo immemore in queste antiche località irpine.

Janara, Irpinia, Campania

Monti Picentini e Monti del Partenio

Parte delle catene montuose appenniniche situate in Campania convergono nel rigoglioso territorio irpino dando vita a scenari montuosi alquanto suggestivi e offrendo splendidi panorami sulle sconfinate vallate sottostanti. I due massicci principali sono quelli dei Monti Picentini e dei Monti del Partenio. I primi raggiungono le altitudini più importanti, tra i quali, il Monte Cervialto, il Terminio e il Polveracchio che dominano sull’intera area circostante con i loro corrispettivi 1.809, 1.806 e 1.790 metri s.l.m.

Sul monte Cervialto si organizzano escursioni, in genere, partendo dall’altopiano di Laceno, nel comune di Bagnoli Irpino, che prende il nome dall’omonimo lago. Quest’ultimo è meta turistica soprattutto durante le festività, infatti, non solo in alcuni periodi invernali è possibile sciare, ma molti campani, in particolare del napoletano, approfittano della pace e della tranquillità della montagna per evadere dal caos e dallo stress quotidiano.

Lago Laceno, Bagnoli Irpino, Irpinia, Campania
Lago Laceno, Bagnoli Irpino

La località dei Monti Picentini è molto rinomata per quello che viene considerato come l’oro nero della gastronomia: Il tartufo nero. Ogni anno, infatti, è possibile degustare molte varietà di piatti tradizionali a base del pregiato fungo alla festa del tartufo di Bagnoli Irpino. Mentre, nella vicina Montella, si trova un parco attrezzato naturalistico, il Bioparco Fattoria Rosabella, in cui è presente una cascata e un sentierino lungo il fiume che vi ci conduce. Un luogo rasserenante dove si può trascorrere una giornata nella natura incontaminata e degustando prodotti tipici locali.

Infine, i Monti del Partenio sono rilievi con una quota relativamente inferiore a quelli Picentini. Noti in particolare per la grande produzione di nocciole a livello nazionale, questi monti si presentano con una conformazione più compatta e omogenea. Tra le montagne della catena montuosa, quella più celebre è Montevergine, nel comune di Mercogliano, per via dell’omonimo Santuario Abbazia.

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Veduta da Montevergine, Mercogliano, Avellino

I borghi incontaminati dell’Irpinia

In questo magico angolo d’Italia, sparpagliati in modo eterogeneo, sorgono antichi e remoti borghi medievali. In alcuni casi, evidenti sono le tracce del passato locale che talvolta sono riconducibili al paleolitico e al neolitico. I siti archeologici di maggiore rilievo sono sicuramente gli scavi di Abellinum ad Avellino e gli scavi di Aeclanum nella città di Mirabella Eclano. Entrambe le località sono di epoca romana ed erano dei centri nevralgici lungo la via Appia, unico vero collegamento per la vecchia Apulia, ossia l’odierna Puglia. Reperti romani sono stati rinvenuti anche nella panoramica Frigento, una piccola cittadina a quota 911 metri s.l.m. che veniva utilizzata dai romani per immagazzinare e conservare le scorte di cibo destinate a rifornire l’Irpinia e buona parte della Campania.

Una caratteristica che accomuna molti dei borghi irpini è sicuramente la loro elevata posizione. Infatti, buona parte di questi paesini è ubicata su rilievi che talvolta oltrepassano anche i mille metri di altitudine. La località con la quota più importante d’Irpinia è Trevico, un piccolo centro abitato a sud est della suddetta area geografica in cui è ancora possibile rivivere quel silenzio senza tempo immerso nella natura selvaggia circostante. Molto suggestivi sono anche Monteverde, classificato come uno dei borghi medievali più belli d’Italia e Nusco, definito il balcone d’Irpinia per la sua ampia veduta sulle verdeggianti distese limitrofe.

Rocca San Felice, Irpinia, Campania
Panorama Rocca San Felice, Irpinia

La medievale Rocca San Felice, immersa nella natura, domina sulle vallate dell’alta Irpinia e si impregna di mito con la Valle d’Ansanto, anche nota come Mefite. Quest’ultima era considerata dagli Irpini un luogo sacro dove poter venerare la Dea Mefite, divinità a cui chiedevano ricchezza e protezione. Altri borghi in alta quota sono Zungoli, Bisaccia, Calitri, Guardia dei Lombardi, la Gesualdo del rinomato madrigalista e Lioni.

Oltre ad essere immersi nella natura, alcuni paesini di quest’area della Campania offrono anche vere prelibatezze a livello internazionale. Taurasi, ad esempio, con l’omonimo vino DOCG possiede alcuni dei vigneti più invidiati al mondo. Ad Avellino è possibile degustare alcuni dei vini bianchi pregiati d’Italia, tra cui il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo.

Vigneti Irpinia, Avellino, Campania

L’Irpinia è una terra legata fortemente alle sue tradizioni ed è plasmata da una storia ancora tangibile che non smette mai di stupire. I borghi e le località da scoprire sono molti e sarebbe stato impossibile riuscire a citarli tutti. In questo articolo ho voluto semplicemente raccontare di un luogo a me molto caro poiché è lì che sono nato ed è lì che risiedono le mie radici.

Venite a sognare con noi immergendovi nei borghi abbandonati inghiottiti dalla natura selvaggia tra l’Abruzzo e le Marche.
Raianaraya Nature Experience

Jávea – Xàbia: 5 mete escursionistiche del Parco Naturale del Montgó

Jávea, in valenziano Xàbia, è un piccolo borgo costiero a metà via tra le città di València a Nord e Alicante a Sud. In origine un villaggio di pescatori, Jávea è un’oasi di pace situata nell’estremità settentrionale della Costa Blanca in Comunitat Valenciana.

Per cosa è conosciuta Xàbia? Prima di tutto, i suoi promontori scoscesi che dominano sulla costa alicantina e, senza alcun dubbio, gli splendidi chilometri di litorale vergini.

Adagiate in un andirivieni di insenature naturali, le sue calette sono magiche. Spiagge incontaminate e acque cristalline danno vita ad un connubio unico. Siti selvaggi da raggiungere a piedi, percorrendo i sentieri curati del Parco Naturale del Montgó.

Jávea è una località che custodisce la tipica tranquillità di un villaggio, valorizzando il contatto con la natura e il rispetto per l’ambiente. Il posto giusto dove essere, per chi ama il silenzio e la magia della natura.

Ecco le mete più suggestive da scoprire a Xàbia, esplorando il suo cuore pulsante: il Montgó.

  1. Jávea: Parco Naturale del Montgó
  2. Jávea – Cap de Sant Antoni: Ruta 9
  3. Cova tallada – Torre del Gerro
  4. Mirador de Jávea: Molins
  5. Monte Montgó
  6. Ermita de Santa Lucia
  7. Jávea – Xàbia: Ciutat Vella
  8. Mappa sentieri Parco Naturale Montgó

Jávea: Parco Naturale del Montgó

Il Parque natural del Montgó, con i suoi 2117 ettari di superficie, è sito tra le due località costiere di Jávea e Dénia. Al suo interno, il Parco ospita un’ampia varietà di specie floreali, circa 700 in totale.

L’area protetta comprende la montagna del Montgó, 753 metri s.l.m., il Santuario Mare de Deu dels Angels, gli antichi Molins, e la natura, le grotte e le calette presenti sull’intero tratto di costa demarcato dai due porti dei villaggi confinanti.

Il Parco Naturale El Montgó è disseminato di sentieri che si intersecano e conducono in ogni angolo dell’area protetta. Per i più temerari, è possibile partire dal porto di Jávea e raggiungere la cima del Montgó, tutto in un giorno, seguendo la via segnata CV 355, con i colori bianco e giallo.

La ruta de senserismo è per escursionisti abituati alla montagna e prevede un dislivello positivo di circa 700 metri con 6 ore e 45 minuti di escursione per raggiungere la vetta.

Insomma, non proprio per tutti. Ma in questo caso, vogliamo svelarvi un percorso meno arduo dove potrete apprezzare comunque sia la natura che la bellezza paesaggistica, ma ammirando il monte Montgó senza doverlo scalare.

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Jávea – Cap de Sant Antoni: Ruta 9

Se si vuole seguire l’itinerario segnato, è possibile iniziare l’escursione dal Porto di Jávea. Qui, alla fine del porticciolo, ha origine un sentiero segnato come Ruta 9.

Il percorso escursionistico, semplice ma pur sempre su sterrato e roccia, costeggia il promontorio del Parco Naturale del Montgó, offrendo delle splendide vedute panoramiche sul Mediterraneo.

Nel primo tratto è visibile la cala Tangó, la prima spiagetta incontaminata da raggiungere con un sentiero alternativo o in barca, in seguito, anche la Platja del Pope, un’altra perla del litorale della Costa Blanca.

Il sentiero si snoda lungo la costa e prosegue attraversando scogliere scoscese e formazioni rocciose lungo l’intero tragitto.

Camminando, il paesaggio naturale è incantevole, circondato dalla tipica vegetazione mediterranea e dalla risacca delle onde che si infrangono sugli scogli.

La Ruta 9 conduce gradualmente a Cap de Sant Antoni, il promontorio che si estende verso il mare dove è ubicato anche il faro del Cap de Sant Antoni. In circa una mezz’ora, si giunge al capo, con un percorso adatto anche a bambini, ma sempre con le dovute attenzioni.

Qui, la maestosità del promontorio, le scogliere a strapiombo e il mare Mediterraneo creano un quadro pittoresco e mozzafiato. Uno scenario tutto da vivere.

Prima di metterse in cammino, si consiglia di indossare abbigliamento comodo e scarpe da trekking, in quanto il terreno a tratti è irregolare e roccioso in alcune sezioni. Acqua, cibo, cappello e crema solare per la protezione dal sole sono fondamentali, anche se il sole è coperto.

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Cova tallada – Torre del Gerro

La cova tallada, in castigliano cueva cortada, è una grotta nata a causa dell’erosione. Situata lungo la costa di Xàbia, è raggiungibile attraverso un sentiero che parte sulla via principale, ossia quella che dal faro si immette sulla strada che collega Jávea e Dénia.

Procedendo in direzione del monte Montgó, facilmente visibile per la sua imponenza sul resto del Parco, prima si raggiunge il Santuari Mare de Deu dels Angels e, in seguito, l’imbocco del sentiero che conduce alla Cova Tallada.

Il primo tratto del sentiero è totalmente in piano. Si cammina prima su della ghiaia/breccia, per poi convergere in un percorso sterrato, ben segnato, caratterizzato da terra di una tonalità di un rosso vivo.

Il sentiero prosegue in piano fino ad un certo punto, dove sorge una piccola struttura in pietra creata da passanti che hanno aggiunto una pietra lungo il cammino. In Italia noti anche come omini, si tratta di una sorta di ziggurat rudimentale in miniatura.

Nella foto sottostante, si vede il principio della discesa che conduce lungo una stretta gola. Questa offre viste panoramiche mozzafiato lungo tutto il percorso. Con una discesa, a tratti più ripida, si raggiunge la grotta, una cavità rocciosa in cui si possono ammirare formazioni secolari e un’acqua cristallina, custodita al suo interno.

Attenzione, la cava tallada, come riportato anche sul sito governativo dei parchi naturali, è una grotta di difficile accesso dove è possibile entrare solo con visite guidate e segnalando in anticipo le intenzioni. Anche se si è abili escursionisti e si volesse arrivare fino in fondo, è da ricordare che il sentiero non conduce né ad una cala né ad una spiaggia.

Il sentiero è un giro ad anello e per chi volesse, può essere completato passando per la Torre del Gerro, per poi risalire sulla via principale per un sentiero alternativo.

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Mirador de Jávea: Molins

Sulla stessa strada che proviene dal faro, la CV 7362, è possibile raggiungere anche uno spettacolare mirador nei pressi degli antichi mulini di Jávea.

L’imbocco del percorso è a circa un quarto d’ora a piedi dal santuario, verso il Montgo che è ben visibile di fronte.

Si percorre una strada asfaltata per alcuni minuti fino a quando si raggiungono i mulini, dove si abbandona il manto stradale per inoltrarsi nella vegetazione attraverso un sentiero battuto.

I Molins di Xàbia appaiono come costruzioni in pietra, torri cilindriche che si ergono dai pendii, in una posizione privilegiata sul villaggio, come su un balcone naturale del promontorio.

Una rete di sentieri parte da qui per condurre gli escursionisti verso gli altri mulini che costeggiano i pendii verdeggianti sopra Jávea. E su queste terrazze dall’alto, è possibile godere di ampie vedute sul borgo di pescatori, sulla spiaggia di Xàbia e sul promontorio sul lato opposto.

Nei giorni più limpidi, soprattutto d’inverno, è anche possibile scorgere la sagoma dell’isola di Ibiza, poco distante dalla Costa Blanca alicantina. La vista è sublime ed è tra le più affascinanti della zona.

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Monte Montgó

L’itinerario completo permette di giungere sulla cima del Monte Montgó, a circa 750 metri s.l.m. e di apprezzare un panorama a 365° sull’intero Parco Naturale di Montgó, sul borgo di Xàbia e anche su Dénia, sul versante Nord-Est.

Il trekking per la cima è più complesso e necessita di preparazione e ore a dispozione. Noi, non avendo tempo, abbiamo ammirato il profilo del monte dalla Plana de San Jeroni, un’area ricreativa sita a pochi passi dall’imbocco del sentiero per la cova tallada.

Il sentiero per il Montgó prosegue pressocché sulla linea del falso piano nelle sue fasi iniziali. Questo cambia quando si sopraggiunge alla base delle pendici, dove inizia la salita.

Il percorso è consigliato solo a escursionisti con familiarità con la montagna e solo con scarpe da trekking. Essendo completamente esposto alle intemperie e agli agenti atmosferici, bisogna praticare questa scalata sul Montgó solo in presenza delle migliori condizioni metereologiche poiché non vi sono punti coperti dove proteggersi o rifugiarsi su tutta la montagna.

Jávea Xàbia

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Ermita de Santa Lucia

Situato sul versante Sud-Est del Montgó, l’Eremo di Santa Lucia è uno dei più antichi della regione. È un luogo di pellegrinaggio e offre una vista panoramica spettacolare sulla costa di Jávea.

Nella zona è presenta anche l’Ermita Cristo del Calvario, eremi che sono stati i nostri punti di partenza. Nel nostro caso, infatti, abbiamo percorso un itinerario iniziale che non segue quello proposto dai sentieri.

L’ermita de Santa Lucia è raggiungibile in circa un quarto d’ora dal centro storico di Xàbia. La via è ben segnalata ed è impossibile sbagliarsi. Sono possibili 2 sentieri, uno è più agevole con tratti asfaltati, ma pur sempre ripido. Il secondo è più escursionistico, ma è ben praticabile.

La scelta di procedere in questo modo è dovuta al fatto di essere giunti a Jávea in autobus, quindi, più vicini all’area della Ciutat Vella, piuttosto che quella portuale.

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Jávea – Xàbia: Ciutat Vella

Adagiato pochi metri sul livello del mare e sotto le pendici del massiccio del Montgó, Jávea e il suo casco antiguo, si sviluppò attorno alla maestosa chiesa di San Bartolomé.

La chiesa, come si può notare, ha una torre e sembra ricordare più un castello che un luogo di culto. Questo perché lo scopo, in effetti, era quello di racchiudere le due caratteristiche sotto un’unica struttura.

La fortezza serviva come difesa contro l’irruzione di pirati e fu eretta durante il periodo gotico, sotto il dominio dei Castiglia, con Isabella I di Castiglia e Ferdinando II di Aragona. Lo stile, infatti, è quello dominante del tempo: il gotico isabellino.

I vicoli e le vie del centro sono immacolate, silenziose e mostrano, ancora oggi, i tratti tradizionali delle abitazioni tipiche locali. Bar, ristorantini e negozi artigianali creano un’atmosfera di allegria in un contesto dove sembra regnare la pace della mente.

Il nostro consiglio? Fatti guidare dal cuore e immergiti in un borgo ancora vergine e ricco di tradizione.

Mappa sentieri Parco Naturale Montgó

Jávea è un villaggio che lascia il segno. Un piccolo borgo incontaminato che stupisce in ogni suo aspetto. Storia, tradizione, natura e sport creano il giusto equilibrio in un vero e proprio paradiso della Comunitat Valenciana.

Killarney National Park, un’oasi naturale nella Contea di Kerry

Il Parco Nazionale di Killarney, Cill Airne in gaelico, è un importante sito per la tutela e la conservazione della natura nel Sud-Ovest d’Irlanda. Dal punto di vista storico-culturale, la riserva è sede di castelli, torri, antiche abbazie e tracce di un passato che perdurano sino ai giorni d’oggi per testimoniare ciò che fu. Ma non è tutto. Il Parco è riconosciuto in tutto il mondo anche per i suoi sentieri escursionistici tra laghi, montagne e l’immenso oceano Atlantico.

Il killarney National Park è anche stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1981, ed è semplice comprenderne il perché. Ecco la nostra esperienza nel verde più assoluto, in uno scenario tinto di un color smeraldo che mai in alcun altro luogo della terra può essere eguagliato.

Killarney: la prima meta

Visitare il Killarney National Park è una missione impegnativa, soprattutto per chi come noi alloggia a Cork e vuole evitare di prendere qualsiasi forma di mezzo, a parte il treno per giungere a Killarney.

Inizia tutto con l’arrivo nel verdeggiante paesino irlandese, Cill Arnie. ad un primo sguardo è tutto calmo, così tranquillo e in pace. Un edificio cattura subito la nostra attenzione, a vedersi un hotel, con una facciata completamente ricoperta di rampicanti con variazioni cromatiche dal rosso al verde; un caratteristico benvenuto e un preludio alla giornata di esplorazione nell’Irlanda più selvaggia.

Procediamo verso il centro del borgo e ci ritroviamo a passeggiare tra localetti, casupole e negozi variopinti. I colori sono accesi, vivi, capaci di allietare lo sguardo e trasmettere allegria in ogni sfumatura.

Anche killarney è viva, il tram tram quotidiano è già iniziato per molti residenti che afferrano una brioche, bevono il primo caffè e si apprestano a dare il via alle attività del giorno.

Ci lasciamo trasportare per un attimo e ordiniamo uno scone, un dolce tipico di origine britannica. D’altronde non avevamo messo ancora nulla sotto i denti e per caricare le energie non vi è modo migliore.

A stomaco pieno e ben carichi per la giornata che ci aspettava, siamo pronti di nuovo, come ai vecchi tempi, come in Australia, a esplorare e perderci per ore nel bel mezzo della natura, lontani da qualsiasi distrazione.

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Killarney National Park

Killarney è ben connessa alla riserva della biosfera sia con tour su carrozze a cavallo, ma anche con navette o autobus. Ma come anticipato, noi avevamo già deciso di esplorare l’area del tutto a piedi e quindi procediamo come da piano.

La via che imbocchiamo è la Ring of Kerry, nota per essere parte di uno degli itinerari ad anello più affascinanti della contea di Kerry in Irlanda.

Il percorso è lungo circa 200 chilometri e permette di raggiungere l’oceano Atlantico e anche zone in cui si allaccia la famosa Wild Atlantic Way, 2.500 chilometri di sentiero sulla costa atlantica che si estende dalla punta di Malin Head, nella contea di Donegal, fino al Sud più estremo, kinsale, nella contea di Cork.

Procediamo sulla Ring of Kerry per circa 3 chilometri. Impieghiamo non meno di 40 minuti per raggiungere a piedi l’entrata del Killarney National Park. Ma il nostro ingresso nella riserva naturale è spiazzante. Finalmente ritroviamo quei paesaggi fiabeschi, lussureggianti e sileziosi tipici della tradizione irlandese.

Trifogli, quadrifogli e muschio in ogni dove, proprio come se stessimo osservando quella meraviglia attraverso una lente con un filtro verde . Verde, verde e ancora verde, tutto risplende di un’unica tonalità. Siamo solo al principio, ma le basi sembrano già andare oltre le aspettative.

La vegetazione qui è così lussureggiante da apparire artificiale. Il verde smeraldo è un regalo di madre natura dovuto alla forte piovosità della zona; il che rende il paesaggio rigoglioso e rigenerante agli occhi di chi lo osserva.

I Laghi di Killarney

Appena varcata la soglia del Parco, siamo già sulle sponde del lago Lough Leane. L’acqua è calma, il meteo di Killarney per ora sembra non preoccupare e le montagne che circondano il bacino, le Macgillycuddy’s Reeks, sembrano completare uno scenario quasi mitico, surreale, capace di allontanare ogni pensiero dalla mente.

I tre laghi

Sebbene i laghi all’interno del Killarney National Park siano tre:

  • Lough Leane
  • Muckross Lake
  • Upper Lake

Questi si uniscono tutti in un unico punto. Ciò che stupisce di più è che nonostante siano parte di uno stesso lago più esteso, ognuno di essi ha un suo microclima e una sua biosfera particolare.

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Il ponte incantato

Procediamo avanti sulla nostra via e in men che non si dica, ecco comparire un ponte, non un comune ponte, ma quello che ritengo essere il più affascinante e magico di cui abbia esperienza.

Il ponte sembra emergere dalla selva, riflettendo il suo splendore come in uno specchio in un rivolo sottostante. La natura ha preso il sopravvento su questa antica creazione architettonica e rampicanti di ogni genere hanno ricoperto ogni suo angolo, cercando, qua e là, di fondersi con l’acqua.

È pieno autunno, ma il tema ricorrente è un verde foresta, solo il rosso talvolta contrasta un verde imperiale che domina incontrastato. Si delinea così un quadro pittoresco a metà tra il surreale e l’inconsueto. Sarà trascorsa forse la prima ora, ma siamo già incredibilmente ammaliati da questo reame boscoso tremendamente incantevole.

Mackross Abbey

Dopo aver ripreso l’itinerario, la straordinaria bellezza di quel ponte aleggia nella nostra mente ancora per qualche minuto. È incredibile come alcuni paesaggi con la loro estrema bellezza possano sconvolgere le nostre emozioni. Ci toccano nel profondo e scuotono un qualcosa che altrimenti resterebbe celato.

Camminiamo meravigliati su questo tappetto di erba rigogliosa e su di un muschio splendente. Con nostro stupore, scopriamo che i rovi all’interno del Parco sono tutti carichi di more e non lasciamo scapparci l’occasione di assaggiarne qualcuna.

rovi di more in Killarney National Park

Il muschio ricopre tronchi, rocce, sassi e suolo, creando un’atmosfera incantata. La riserva presenta dei connotati così unici da apparire per davvero la dimora di elfi, folletti o creature magiche.

Ma è a questo punto che si raggiunge l’apice dello stupore: l’inspiegabile fascino di un’antica abazzia, circondata da decine di croci celtiche e antiche lapidi.

Muckross Abbey, Killarney National Park

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L’abazzia dei monaci francescani

Giungiamo alla Mackross Abbey, Mainistir Locha Léin in gaelico, uno dei siti ecclesiastici più importanti all’interno del Parco Nazionale di Killarney. L’antico monastero francescano fu fondato nel 1448 per ospitare i monaci osservantini del Santo d’Italia.

Oggi tuttavia resta lo scheletro dell’abazzia. Il monastero nel corso degli anni è stato messo a dura prova e più volte è stato ricostruito. Quello a cui si può assistere ora è un tenue lascito che ancora funge da custode per il piccolo cimitero adiacente.

Esploriamo le mura del Muckross Abbey e lasciamo che la mente vaghi libera di rincorrere le più varie ipotesi sulla storia del monastero. Il tetto è ormai scoperto, solo il chiostro e alcuni corridoi hanno ancora una copertura, in pietra, come l’intero edificio.

chiostro Muckross Abbey Killarney National Park

Il chiostro delinea un quadrato quasi perfetto. Solo un colonnato separa il cortile dal corridio. Al centro un albero secolare svetta verso l’alto e supera l’abazzia in altezza.

Possiamo salire di livello, così saliamo le scale in pietra del tutto bagnate, non tanto diversamente da come i franscani ai tempi fossero abituati a percorrerle, pensiamo. Probabilmente al piano superiore vi erano stanze, forse una cucina e una sala comune dove i monaci consumavano i loro pasti, insieme nella fede.

La mente divaga finché da uno spazio compare il cimitero. Dall’alto sembra che un verde brillante avvolga le croci e le lapidi sottostanti, lustrando e rigenerando le tombe di coloro che riposano in pace, lì dove il silenzio regna da padrone.

Respiriamo la calma, la tranquillità, la quiete e l’armonia che quella vista può suscitare. Quasi come in seguito ad una meditazione, sembriamo aver raggiunto uno stato di rilassamento. Ci sentiamo rinvigoriti, più consapevoli.

Abazzia di Muckross, Killarney

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Mackross House

Lasciamo alle nostre spalle il monastero e proseguiamo per il nostro itinerario. È il momento di passare per la Mackross House: una villa in stile vittoriano e anche un’antica tenuta rurale che sfoggia un gran lusso senza tanti fronzoli.

Ma non è questo il tipo di attrazioni per cui siamo al Killarney National Park. Siamo in questa riserva della biosfera prima di tutto per essere testimoni del suo magnifico patrimonio naturale. Scorriamo avanti l’edificio e avanziamo, ancora, e ancora, verso una precisa meta, lì dove le acque si incontrano.

natura nel Parco Nazionale di Killarney

L’ Amore per la Terra

“L’ amore di un Paese, io ho
amato,

Foreste di pini e scogliere di
granito,

Il mare, le valli e le colline,

E tutti gli animali della terra e
dell’acqua”

The Lake isle of innisfree, (estratto) – w. b. Yeats

Meeting of the waters

L’ultima meta di giornata si avvicina. Il giro ad anello intorno al lago centrale del Killarney National Park, il Muckross lake. Questo sentiero circolare copre circa 15 chilometri e conduce in punto davvero speciale: il meeting of the waters.

Imbocchiamo il sentiero e procediamo nel silenzio, nella pace e nel verde incontrastato. Impieghiamo circa due ore per concludere l’intero percorso. Ma a metà strada giungiamo nel luogo in cui le acque dei tre laghi, il Lough Lane, il Muckross Lake e l’Upper Lake, si incontrano e si mescolano.

Ci fondiamo con la natura e camminiamo, a tratti anche sotto la poggia, in uno scenario che sempre più riflette quell’idea di magico e irlandese. Accogliamo la pioggia con piacere. L’acqua d’altronde è un elemento caratterizzante dell’isola, e quale miglior maniera per vivere appieno un’esperienza completa?

Infine, eccoci giungere al meeting of the waters, lì dove convergono le acque e tutto tace, ancor più di altre zone del Parco Nazionale di Killarney. Il suolo qui talvolta viene inondato dall’acqua, ma per fortuna in questo caso siamo fortunati.

meeting of the waters nel Parco Nazionale di Killarney, Irlanda

Nei pressi di questo congiungimento dei laghi, cerchiamo di seguire un sentiero nel bosco, tra radici, muschio e rivoli che intervallano la via. Ma la pioggia diventa più insistente e il percorso poco agevole. Pertanto, decidiamo di desistere e rimetterci sull’anello principale.

Procediamo verso la fine dell’anello fino a raggiungere il sentiero che porta sulle cascate di Torc. Il meteo non è dei migliori, e noi abbiamo già affrontato circa 30 chilometri a piedi, così passiamo l’imbocco al sentiero delle cascate senza però imboccarlo.

Siamo a circa 8 chilometri da Killarney, in un sentiero parallelo alla statale N71 che conduce a Kenmare. Il sentiero è a tratti coperto da pini e una folta vegetazione lussureggiante.

Passo dopo passo ascoltiamo la lieve pioggia picchiettare su foglie, muschio e rami. Avanziamo come accompagnati da una leggera e flebile melodia naturale. L’avventura al Killarney National Park sta ormai quasi per concludersi.

Killarney National Park meeting of waters

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Il mito della Dea del lago

Secondo una credenza celtica, si narra che nel Killarney National Park vivesse una Dea del lago. La stupenda divinità dalle sembianze umane si innamorò secondo la leggenda di un pastore noto come Oisìn.

Il giovane pastore ogni mattina si recava nei pressi del lago per far pascolare le sue pecore. Era in questi momenti che la Dea lo osservava dalle profondità del lago, sperando che un giorno potesse unirsi a lui.

Un giorno la Dea decise di emergere e mostrarsi a Oisìn. Fu allora che la giovane divinità propose al pastore di unirsi a lei nel lago e vivere per sempre uniti. Oisìn accettò e insieme raggiunsero le profondità del bacino.

Quando il giovane pastore riemerse dalle acque si rese conto di qualcosa di sconvolgente: erano trascorsi ben 300 anni. Tutto ciò che conosceva e i suoi cari erano ormai morti, ma egli aveva un desiderio incontrollabile di rivedere, almeno per un’ultima volta, la sua casa.

La Dea del lago acconsentì, ma solo ad una condizione: non avrebbe dovuto toccar piede sulla terra una sola volta. Così Oisìn si recò verso casa, ma dimenticando della promessa fatta, mise un piede a terra e morì all’istante.

Oggi la leggenda vuole che il giovane pastore viva ancora nei pressi del lago e la sua Dea sia ancora nelle profondità, ad aspettare che il suo amato faccia ritorno a casa.

L’ esperienza del Killarney National Park

La riserva naturale ci saluta con brevi intervalli di pioggia che a intermittenza rigenera quel verde incantato. Oltrepassiamo il cancello d’ingresso attraverso il quale, circa 6 ore prima, avevamo varcato per la prima volta la soglia .

Siamo stanchi, abbiamo camminato per oltre 40 chilometri e ci aspettano ancora 40 minuti prima di raggiungere Killarney. Ma siamo sereni, in pace, soddisfatti dell’estrema bellezza e delle emozioni che questo Parco è capace di donare.

Killarney bar Irish beer

Il Killarney National Park è un ecosistema in cui immergersi e lasciarsi trasportare. È lo spirito che aleggia al suo interno a trasportarti, come se avesse un’anima propria, in grado di infondere pace e comprendere le tue intenzioni. Una volta varcata la soglia, basta respirare e vivere il momento, tornando indietro nel tempo, agli archetipi della vita.

Gran Sasso: escursioni a Campo Imperatore e Rocca Calascio

Campo Imperatore, Rocca Calascio e Santo Stefano di Sessanio sono le ultime mete della nostra ultima tappa di questo itinerario on the road in Abruzzo. Un viaggio iniziato dalla mitica Costa dei Trabocchi per poi attraversare le verdi valli del Parco Nazionale d’Abruzzo, e giungere infine sulle pendici rocciose del maestoso Gran Sasso.

Dal Parco Nazionale d’Abruzzo al Gran Sasso

Il primo trekking affrontato, degno di poter essere definito tale, lo abbiamo intrapreso sulla Majella e in particolare sul Monte Focalone. Questo proprio in seguito all’escursione verso le cascate delle ninfee, mai pervenute.

Ed è per recuperare che abbiamo optato per una visita di un giorno sulla catena montuosa più prominente degli Appennini, subito dopo al maestoso Gran Sasso.

In questa maniera abbiamo potuto sgranchire le gambe e riscaldarci prima di approdare tra le lande desolate di Campo Imperatore. Noto in Abruzzo come il piccolo Tibet, l’altopiano presenta un paesaggio sterminato, costellato di rocce, distese brulle e animali al pascolo per chilometri e chilometri.

In questi ultimi giorni siamo andati a caccia di antichi borghi, tra natura e vette immemori, nell’area naturalistica del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Dalla Majella al Gran Sasso, ripercorrendo terre remote.

Gran Sasso, Corno Grande, Abruzzo, Campo Imperatore

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La leggenda della Dea Maia e del “Gigante buono”

Mistiche e intriganti sono le storie che si raccontano riguardo all’origine delle catene montuose appenniniche più alte d’Abruzzo.

Una di queste leggende narra della bellissima Dea Maia, la divinità più affascinante delle Pleiadi, che viveva nella Frigia, antica regione dell’Anatolia centro-occidentale, con il suo amato figlio, un uomo altissimo e robusto a tal punto da essere conosciuto come il “Gigante”.

Un giorno, per via di una feroce battaglia, il ragazzo riportò ferite talmente gravi da portarlo quasi alla morte. La Dea Maia, scioccata dall’avvenimento, immediatamente si recò in un luogo sacro per chiedere aiuto ad un oracolo.

Quest’ultimo le mostrò una montagna immensa, oltre i confini del mare, dove nasceva un’erba medica che avrebbe potuto guarire qualsiasi tipo di ferita. Così, i due subito intrapresero un estenuante traversata via mare.

Attraccarono con non poca difficoltà nel porto dell’antica cittadina costiera di Orton, l’odierna Ortona. Ma stanchi per il viaggio, trovarono rifugio in una grotta naturale. E fu lì che il gigante, ormai in fin di vita, spirò fra le braccia della Dea Maia che da allora non riuscì in alcun modo a consolarsi della morte di suo figlio.

La nascita della Majella

Maia si recò sul Gran Sasso per seppellire il corpo del ragazzo. Fu da allora che il profilo del massiccio montuoso mutò e iniziò a ricordare quello di un gigante che dorme.

Nel frattempo, in preda alla disperazione, la Dea iniziò a errare senza meta. Fino a che un giorno ella raggiunse la montagna di fronte. In questo modo, avrebbe potuto vegliare per sempre sul luogo in cui era sepolto suo figlio.

Da quel momento in poi, Maia diventò un’eremita e vagò fino al giorno della sua morte. In suo onore, gli abitanti della zona chiamarono la montagna con l’appellativo Majella e, come per miracolo, la conformazione rocciosa prese le sembianze di una donna china che veglia sul suo amato figlio.

Tutte le divinità vicine alla Dea Maia e al Gigante, intristite per lo strazio e per i drammatici eventi, fecero in modo che i due diventassero immortali donando le loro sembianze alle due montagne su cui erano sepolti: Il Gran Sasso e la Majella.

Alcuni pastori narrano che nei giorni di bufera, il vento a tratti sembri ricordare il lamento della Dea Maia, ancora in lacrime per il figlio perduto.

Vado di Corno, Campo Imperatore, Gran Sasso d'Abruzzo
Vado di Corno, Campo Imperatore, Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

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Rocca Calascio e Castel del Monte

Al mattino, entusiasti per le nuove avventure tutte da vivere, proseguiamo con il nostro viaggio on the road nell’Abruzzo selvaggio, lasciando a malincuore la mitica Majella. In particolare, per raggiungere il Parco Nazionale del Gran Sasso. Ma soprattutto, il primo borgo sulla nostra lista: Rocca Calascio.

Il caldo torrido, il sole cocente e l’assenza di vento ci rendono la vita abbastanza difficile. Non a caso, in alcuni momenti siamo impegnati in una vera sfida di sopravvivenza. Lo sforzo per concentrare tutte le nostre energie e resistere a quelle temperature era alquanto anomalo, specie se si considera che sia una zona ad alta quota: il termometro segnava oltre 40°.

Raggiungiamo la roccaforte con circa quaranta minuti di ritardo a causa della mancanza di segnaletica. Intanto, le nostre forze sono al limite e nel mio caso, comincio ad avere un preoccupante mal di testa, nonostante portassi una bandana sul capo.

Arrivo a Rocca Calascio

Rocca Calascio è un borgo su di un cucuzzolo di una montagna a 1.460 metri s.l.m. La vista panoramica è mozzafiato e dai numerosi oblò ricavati dalla roccia ci divertiamo a immaginare come le guardie un tempo scrutassero le vallate circostanti e, per ammazzare la noia, scolassero litri di liquore locale fino a crollare in un sonno profondo.

Tornando verso l’auto, incomincio a sentire vampate improvvise di calore, soprattutto circoscritte alla testa. Verso più volte dell’acqua sul capo per cercare di rinfrescarmi, ma era ormai chiaro che avessi a che fare un colpo di calore. E anche piuttosto forte, quindi, decidiamo di dirigerci verso Castel del Monte e cercare un posticino dove pranzare e riposare un po’ finché non fossi stato meglio.

Transitiamo per il comune montano di Castel del Monte e subito intravediamo una piccola salumeria locale, quelle attività in via di estinzione che ancora riescono a offrire prodotti tipici e di qualità al contrario delle realtà commerciali odierne, incentrate sulla sola quantità e il profitto.

Compriamo un paio di salsicce di cinghiale e ci rechiamo in un parchetto nelle vicinanze, all’ombra di maestosi alberi e seduti su una panchina di legno.

Gran Sasso, Rocca Calascio, Abruzzo
Rocca Calascio, Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Abruzzo

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Campo Imperatore e Vado di Corno nel Gran Sasso

Nel pomeriggio ci rimettiamo in viaggio e percorriamo i serpeggianti tornanti che conducono nelle rare lande dell’altopiano di Campo Imperatore.

Ubicata a 1.800 metri s.l.m. la sconfinata area è di origine glaciale. Un’antica valle adagiata nel cuore del massiccio montuoso del Gran Sasso.

Percorriamo incantati il piccolo Tibet ed essendo un amante della guida, accompagno soddisfatto il volante attraverso la vastità di quell’altopiano.

A tratti, sembra di essere catapultati in uno scenario fantascientifico: Canyon, vette torreggianti, cinture di roccia e bestiame al pascolo ovunque.

In lontananza scorgiamo una grande pineta e decidiamo di raggiungerla. E dato che il mio mal di testa non da cenni positivi, optiamo per il distenderci sotto gli alberi, rilassarci e vedere se la situazione migliora.

Durante le ultime ore del giorno sono bollente e sento dolori come quelli della febbre forte, decidiamo così di raggiungere il nostro covo per la notte e preparare tutto il necessario. In particolare, materassini, sacchi a pelo e cena.

Il lago di Racollo e le rovine di Campo Imperatore

Il luogo preposto per trascorrere la notte è in una piccola e nascosta stradina attrezzata a Vado di Corno. Questa è sita in un valico a 1.924 metri s.l.m. da cui è possibile intraprendere dei trekking per il Monte Aquila, 2.494 metri s.l.m. e il Monte Brancastello, 2.385 metri s.l.m.

Inoltre, da questo punto è possibile anche raggiungere il Corno Grande, la cima regina degli Appennini. Ovviamente, avremo dormito in questo preciso punto proprio per poter scalare una di queste montagne, l’imponente Monte Aquila.

Il giorno successivo, a causa della mia condizione fisica, evitiamo di fare escursioni troppo complesse, così ci rechiamo nei pressi del Lago di Racollo, non molto distante da Vado di Corno, da cui si imbocca il sentiero che conduce alle rovine di una vecchia abbazia.

L’escursione seppur semplice e di facile percorrenza, ci conduce fino alla chiesetta con un caldo torrido estenuante. Per tutto il tragitto siamo esposti a un sole rovente che non aiuta in alcun modo il nostro andare.

Tuttavia, il luogo è silenzioso, mistico e ci ispira nelle conversazioni che variano tra avventure e libri letti.

Vado di Corno, Gran Sasso, Abruzzo
Vado di Corno, Campo Imperatore, valico per il Monte Aquila

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Santo Stefano di Sessanio

Nel pomeriggio, a bordo della nostra amata auto iniziamo ad affrontare le anguste curve che portano al borgo di Santo Stefano di Sessanio. Il paesino, abitato da poche anime, è adagiato tra le montagne del Parco Nazionale del Gran Sasso in Abruzzo.

La visita è piacevole e ci lascia affascinati. Attraversare quei silenziosi vicoletti e le antiche case di pietra incastonate tra le rocce della montagna è straordinario.

Sorseggiamo una tipica IPA abruzzese, siamo anche deliziati da un asinello che attraversa il borgo. Dopodiché, non vi è modo migliore di concludere la giornata se non tornando a Campo Imperatore per ammirare quelle remote distese senza confini.

Trascorriamo alcune ore esplorando le terre selvagge di quell’immenso altopiano, il piccolo Tibet, percorrendo quelle districate linee sinuose che creano scenari quasi surreali.

Da Campo Imperatore al Lago di Campotosto

Giunte le cinque del pomeriggio ci rechiamo nei pressi del vasto lago di Campotosto, un bacino d’acqua artificiale creato con lo scopo di immagazzinare l’acqua per possibili incendi nelle foreste dei parchi nazionali circostanti.

Caso vuole che dirigendoci verso il lago, scorgiamo immense colonne di fumo fuoriuscire dalle montagne verso L’Aquila, mentre diversi aerei si affrettano a sganciare migliaia di litri d’acqua sulle aree interessate dall’incendio.

Raggiungiamo lo specchio d’acqua e cerchiamo un’area attrezzata dove poter trascorrere la notte. Perlustriamo la zona e cominciamo a cercare la legna per accendere il fuoco per il barbecue.

Nel nostro termos abbiamo carne e formaggi acquistati in una vicina chianga locale e non vediamo l’ora di gustare tali pietanze accompagnate da due birre artigianali scure.

Nel boschetto prima del lago agganciamo su un robusto albero la nostra doccia portatile e possiamo finalmente godere di una rigenerante doccia nella natura.

Prima di andare a letto, ceniamo e riusciamo a respirare una pace assoluta. Quel silenzio ristoratore ci accompagna per tutta la durata della notte. Assistiamo al calare del sole e alle ultime luci del giorno.

Sfumature di una tonalità arancio scuro si fondono con quel blu profondo che annuncia l’avvento della notte. Una linea di demarcazione si fa più forte all’orizzonte, quasi a dimostrare l’immensità di quell’evento. Infine ci adagiamo sul nostro giaciglio e così, in un caldo abbraccio, cadiamo in un sonno profondo.

lago di campotosto, Parco Nazionale del Gran Sasso, Abruzzo, on the road

Viaggiare on the road non è solo una meravigliosa via per esplorare il mondo, ma anche una filosofia di vita, un modo di vivere a stretto contatto con la natura, più diretto e che lascia un’esperienza più vivida e reale del viaggio stesso.

Valle del Sagittario e Val Fondillo nel Parco Nazionale d’Abruzzo

Nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo sorge la valle del Sagittario e la Val Fondillo. Le ampie distese naturali si estendono tra borghi meravigliosi come Scanno, Villalago, Villetta Barrea, Opi e Pescasseroli. Un patrimonio storico e naturale situato ai piedi dell’Appennino centrale. Ecco un viaggio tra due delle vallate più affascinanti in Abruzzo.

La valle del Sagittario in Abruzzo

Quando si ha la possibilità di vivere per alcuni giorni lontano da qualsiasi distrazione o fonte di stress, credo non ci sia modo migliore che perdersi nella vastità della natura e delle sue meraviglie. Abbandonarsi a connessioni archetipiche, incise nel più profondo strato del nostro DNA.

D’altronde, per chi ama questo tipo di esperienze, sa bene di cosa parlo. E comprenderà anche il motivo per cui io e la mia compagna abbiamo scelto di lanciarci in un’esperienza on the road, proprio nelle terre selvagge d’Abruzzo.

Quel respirare appieno il sapore della vita, tangibile solo una volta immersi del tutto in quella che è la straordinaria creazione di madre natura.

Ed è così che ha inizio il nostro viaggio in Abruzzo e in Valle del Sagittario. Ha origine da un’irrefrenabile desiderio di vivere il silenzio e la purezza locale.

Un itinerario on the road che ha avuto come prima tappa l’incantevole Costa dei Trabocchi abruzzese, dalla ridente cittadina di Ortona fino al borgo panoramico di Vasto. E che in seguito ha visto l’esplorazione delle splendide terre selvagge del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, la Majella e il Gran Sasso.

Ma questa avventura riguarda la nobile terra della Valle del Sagittario, scolpita da monti, laghi e fiumi appenninici.

Valle del Sagittario, Scanno
Vista da Scanno, Valle del Sagittario, Abruzzo

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L’Eremo e il Lago di San Domenico

La prima meta designata di questo secondo itinerario è il Lago di San Domenico, anche noto come il lago di Villalago.

Nel bel mezzo della valle del Sagittario, uno specchio d’acqua dalle tonalità profonde e intense che ricordano quelle di uno smeraldo, rapisce per le sue fervide tonalità e per le sue sfumature: riflessi che dal blu tendono al verde.

Giungiamo nei pressi di Villalago in mattinata. Dal primo istante iniziamo a perlustrare il perimetro del bacino con sguardo attento, quasi come cacciatori di tesori, sicuri di ritrovare un antico gioiello nelle vicinanze.

Affascinati dalla sua limpidezza, immergiamo i piedi nell’acqua gelida. Un quadro pittoresco assai raro. Rilassiamo la mente e ammiriamo quel capolavoro naturale. Mentre il pensiero è cullato da uno scenario ammaliante.

Scattiamo alcune foto di quello che era in fin dei conti il nostro primo viaggio senza vincoli e barriere. Il tempo sembra fermarsi al cospetto di cotanta bellezza. È la mente stessa a immortalare il paesaggio che rimarrà impresso nelle infinite stanze della memoria.

Ogni passo richiama all’attenzione, come in una sorta di meditazione, e chissà che non sia proprio questo il motivo per cui San Domenico scelse Villalago per la sua vita, dedicata all’eremitaggio.

Lago San Domenico, lago di Villalago, Eremo di San Domenico
Lago di Villalago o San Domenico, Villalago, Abruzzo

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Lago di Scanno

Percorriamo i tipici sali-scendi montani della valle del Sagittario. Nella provincia de L’Aquila è sorprendente come ci si possa perdere con estrema facilità nella sconfinatezza delle sue vallate e nei suoi rigogliosi pendii.

I tornanti, scavati tra la roccia, agitano il nostro andare alla vista di enormi rocce sporgenti. Le pareti rocciose infatti sovrastano la carreggiata, prominenti e minacciose sono a guardia di un mondo senza tempo. Un lungo serpeggiare tra le pendici abruzzesi ci accompagna infine al meraviglioso lago di Scanno.

Al cospetto del lago montano, studiamo la sua forma a cuore. L’occhio perlustra le sue sponde in lungo e largo. Ma incuriositi dalle barche attraccate a riva, siamo spinti ad avvicinarci, un metodo per esplorare il lago nella sua interezza.

Saltiamo quindi a bordo della nostra modesta imbarcazione e sprezzanti del caldo torrido, iniziamo a solcare le acque di questo bacino. Il sole è ben alto nel cielo e a tratti sembra essere insostenibile.

Una folata d’aria ci ristora per un attimo. Sembra donarci come un alito di vita. In attesa di un altro respiro, restiamo immobili, disegnando un sorriso sul viso e sperando che un filo di vento torni a donarci un po’ di frescura.

Circumnavighiamo buona parte del lago e tornati al porto sicuro ci rifugiamo nella pineta. All’ombra di un bel pino, mandando giù un boccone, lasciamo che la magia del posto ci sorprenda e ci trasporti via con sé.

Valle del Sagittario, Lago di Scanno, Abruzzo
Lago di Scanno, Valle del Sagittario, Abruzzo

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Scanno e il lago di Barrea

Nel primo pomeriggio raggiungiamo il borgo medievale di Scanno, una località d’Abruzzo in provincia de L’Aquila. Il paesino è rinomato per le sue antiche viuzze e le sue case di pietra che torreggiano sulle vallate circostanti.

Passeggiare per le sue stradine è un’esperienza irreale. Gli angusti vicoli sembra no voler condurre verso l’ignoto. Intravediamo a intermittenza rilievi lussureggianti, illuminati da un rovente sole di luglio.

Più e più volte ci perdiamo nel piccolo comune d’Abruzzo e, anche dovuto al Covid-19, ci stupiamo del silenzio e della tranquillità che si respira nel centro storico.

Tutto tace, una quiete costante allieta quelle ore più calde della giornata e ci permette di esplorare il borgo in piena libertà e tranquillità.

In ogni stradina fantastichiamo su chi vivesse in questa o quell’altra casa, ci divertiamo a rievocare storie del passato e ne inventiamo di nuove.

Prima di rimetterci in marci ci concediamo anche un tipico parrozzo, un dolce tipico locale, accompagnato da un fresco succo di mela della zona.

Le luci del giorno intanto si facevano più accese, lasciando che le tonalità calde irradiassero l’orizzonte sempre più.

Se vogliamo assistere al tramonto, bisogna sfruttare l’occasione e recarci al lago di Barrea, in località Villetta Barrea.

Superiamo vie sterrate nei pressi dello specchio d’acqua per poi raggiungere la meta designata, lì dove alberi e lago sembrano danzare, creando un connubio naturale mistico e surreale.

Lago Barrea, Villetta Barrea, Valle del Sagittario, Abruzzo
Lago di Barrea, Valle del Sagittario, Abruzzo

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Forca d’Acero: notte sotto le stelle

Assistiamo ad uno splendido tramonto e poco prima che le ultime luci cedessero il posto alla notte, a bordo della nostra Ford ci dirigiamo verso la Val Fondillo. Più in particolare, in un valico stradale dell’Appennino abruzzese: Forca d’Acero, a circa 1.500 metri s.l.m.

È proprio questo il punto prescelto per trascorrere la notte. In meno di quarantacinque minuti imbocchiamo la suddetta strada e la percorriamo fino a raggiungere una piazzola attrezzata. Qui accostiamo e iniziamo a preparare il nostro giaciglio.

Mangiamo del couscous dal nostro termos in compagnia di due birre artigianali gentilmente offerteci dal padre della mia compagna.

L’oscurità ora inizia a prevalere sullo sfondo. La penombra avvolge gli ultimi bagliori di un rosso acceso che va via via affievolendosi per poi infine scomparire dietro le scure sagome dei rilievi dinanzi a noi.

Brindiamo alla sopraggiunta notte sorseggiando Genziana, liquore tipico dell’Appennino abruzzese. Intanto scrutiamo il cielo, in attesa che le stelle facciano capolino.

Nel silenzio più assoluto, piccole luci ad intermittenza cominciano a volteggiare nella penombra. Sono le lucciole che si rincorrono su un palcoscenico infinito.

Ad un certo punto, anche una piccola volpe fa un salto a salutarci, si avvicina incurante, forse abituata alla presenza di persone, in cerca di cibo. Finalmente, il nostro sguardo si posa sulle più disparate costellazioni e lasciamo che i nostri occhi si perdano in quell’incantesimo unico.

forca d'acero, Abruzzo

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La Val Fondillo, il Camping e la Chianga

Al mattino, sono le chiare luci dell’aurora, meravigliosa e divina, a svegliarci. Una colazione all’aperto mentre si ammirano le montagne illuminate dal sole non ha prezzo. Ed è così che diamo inizio alla nostra giornata.

A bordo della nostra auto poi ci dirigiamo verso il Camping in cui soggiorneremo per due notti. Intorno alle sette e mezza di mattina raggiungiamo Il Vecchio Mulino, lo storico campeggio nei pressi della Val Fondillo. Qui montiamo la tenda, prepariamo gli zaini da montagna e diamo il via alla prima vera escursione di questo viaggio on the road.

Intraprendiamo il sentiero che conduce alla grotta delle fate e con passo agile percorriamo uno degli itinerari più agevoli della Val Fondillo. Infatti, in circa due ore raggiungiamo l’ambita cavità nella roccia.

Nella via del ritorno, deviamo dal sentiero principale e cerchiamo di raggiungere il fiume. In questo modo ci ritroviamo in un luogo incantato immerso nel verde:

un corso d’acqua limpida scorre tra le rocce. Gli alberi e il muschio sono disseminati a macchia di leopardo e lì vicino creano uno scenario fiabesco che ricorda quello delle foreste irlandesi nelle fiabe.

A fine escursione, nel pomeriggio ci rechiamo nella vicina località di Pescasseroli, un suggestivo borgo nel cuore dell’Abruzzo. Qui, dopo aver visitato il paesino, ci affrettiamo a comprare la cena per la sera in un alimentare davvero unico: la Chianga.

Prendiamo un vino rosso della zona, il Noemo, i classici arrosticini di pecora abruzzesi e delle salsicce. Ora sì che siamo pronti per una grigliata e per celebrare il momento di libertà di questo straordinario viaggio.

Camping Vecchio Mulino, Val Fondillo, Abruzzo
Camping Vecchio Mulino, Val Fondillo, Abruzzo

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Cascate delle ninfee: direzione sbagliata

Dopo aver trascorso una notte indimenticabile nella natura, in tenda e in compagnia del buon cibo locale, siamo pronti per una nuova avventura all’insegna dell’esplorazione.

Tra le varie possibilità a nostra disposizione, risalta all’occhio il nome della cascata delle ninfee. Tentiamo di raggiungere l’imbocco del sentiero con la nostra auto e, convinti che Google Maps ci stesse portando nella località giusta, procediamo rilassati e contenti per la nuova giornata di trekking che ci stava per aspettare.

Nel parcheggio indicato dalla mappa, lasciamo l’auto e ci incamminiamo su per la prima salita con una pendenza da capogiro. Andiamo avanti per circa mezz’ora e alle prime segnaletiche di percorso comprendiamo che il sentiero in cui ci siamo immessi non conduce alle cascate, ma procede tra la vegetazione per alcune ore fino ad un altro monte.

A questa notizia, sorridiamo, scattiamo alcune foto con il panorama alle nostre spalle e continuiamo per circa un’ora la nostra escursione tra la meravigliosa natura di quella zona d’Abruzzo.

escursione Val Fondillo Abruzzo

In fin dei conti, non c’è modo migliore di vivere queste esperienze se non entrando totalmente a contatto con queste realtà antiche sopravvissute all’azione perpetua del tempo.

Nella tappa conclusiva del nostro viaggio, scopriremo le terre del Parco Nazionale del Gran Sasso d’Abruzzo.

Cartagena Spagna spiagge: le 5 da non perdere a Murcia

Le spiagge di Cartagena, in Spagna, sono note per la loro sabbia di colore scuro e per il mare cristallino. In buona parte queste sorgono in aree protette come la Reserva Marina Cabo de Palos Islas Hormigas o il Parque Natural de Calblanque.

Ma cerchiamo di avere un quadro completo su Cartagena, Spagna e le sue spiagge.

Cartagena Spagna spiagge

La provincia autonoma di Murcia brulica di calette e insenature da sogno. Le acque color turchese sono l’habitat ideale per una gran varietà di fauna marina. Ciò infatti le rende ideali per fare snorkeling o immersioni subacquee.

In genere, a soli 40 chilometri da Murcia o appena 15 da Cartagena, spiagge paradisiache si susseguono tra un promontorio e l’altro. E oggi vogliamo svelarvene almeno 5. Per lo più distribuite sulla penisola di Cabo de Palos.

Indice

  • Riserva Marina Cabo de Palos – Isla Hormigas
  • Parque Natural de Calblanque
  • Cala del barco – Cala beach club La Manga
  • Cala Reona
  • Playa el Portus
Cartagena Spagna spiagge: Faro di Cabo de Palos - Reserva Marina de Cabo de Palos y Isla Hormigas
Faro di Cabo de Palos – Reserva Marina de Cabo de Palos y Isla Hormigas

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Riserva Marina Cabo de Palos – Isla Hormigas

In particolare, in una modesta penisola nella Manga del Mar menor, è Cabo de Palos uno dei punti più panoramici con un mare limpido che è dimora di:

  • aquile di mare
  • scorfani
  • cernie
  • polpi
  • barracuda
  • pesci luna
  • anemoni

La posidonia invece le fa da padrona. L’alga è presente pressoché ovunque. I fondali marini del mediterraneo si alternano infatti a rocce e coralli. Proprio così, la Riserva Marina ospita alcune varietà di coralli tutelati e protetti. Ma non è tutto.

Ai piedi del faro di Cabo de Palos vi è una caletta accessibile a piedi. Dal balcone panoramico in alto si può già ammirare in tutto il suo splendore. Tonalità di verde smeraldo risplendono al sole e lo scintillio del mare svela uno scenario quasi unico in tutto il Mediterraneo.

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Cartagena Spagna spiagge: Cala Fría

Circondata da un anfiteatro roccioso, Cala Fría è una spiaggia prediletta per le immersioni. Il fondale pullula di posidonia e rocce che appartengono al promontorio di Cabo de Palos. Quest’ultimo infatti è connesso a Isla Hormigas che non è altro che l’ultima parte emersa dello stesso.

Ubicata in una Riserva Marina, la caletta consente di perlustrare e ammirare decine e decine di specie marine con maschera e boccaglio. E semmai anche con un bel paio di pinne per essere al completo.

Oppure, per gli appassionati, è possibile lanciarsi all’avventura nei fondali più a largo con l’attrezzatura adatta. Qui è facile imbattersi in aquile marine, murene e pesci di origine tropicale.

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Parque Natural de Calblanque

Un vero gioiello della Spagna è il Parque Natural de Calblanque. Sito a pochi chilometri dal centro di Cartagena, l’area protetta è regolamentata e prevede un accesso a veicoli a motore limitato.

Il modo migliore per raggiungere le sue spiagge è con le navette messe a disposizione dalla Comunitat Autonoma de Murcia. Con un costo contenuto è possibile lasciare l’auto in un parcheggio adibito e procedere in autobus per circa 10 minuti.

Ed è qui, mentre si attraversano i primi metri di Parco Naturale che si iniziano a scorgere i tratti peculiari del paesaggio.

Locato tra Cabo de Palos e Portmán, Calblanque stupisce con i suoi scenari semi desertici costellati da arbusti e cespugli, pini di Aleppo, dune e distese di sabbia. E per concludere, numerose cale e un mare da invidia.

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Cartagena Spagna spiagge: Cala Larga

Le spiaggette da poter visitare nel Parco Naturale sono diverse. Le più note sono:

  • Playa Negreta
  • Punta Negreta
  • Cala Larga
  • Playa de las cañas
  • Playa de Calblanque
  • Punta Negra
  • Cala del Barco

In particolare, la Cala Larga è la spiaggia più lunga e consente di nuotare anche senza scarpe da scoglio. Qui è chiaro che lo snorkeling non è così coinvolgente come nella Riserva Marina. Ma ad ogni modo, sa regalare le sue soddisfazioni.

Presentando un fondale in prevalenza sabbioso, è facile, nuotando verso le boe, imbattersi in aquile di mare e pesci di ogni genere. Inoltre, tra una cala e l’altra la distanza è breve. Pertanto, raggiungere Playa Negreta e Punta Negreta sarà possibile anche percorrendo le spiaggette e aggirando gli scoglietti in acqua.

Sentiero nel Parco Naturale di Calblanque – Cala Larga – Playa Negreta

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Cala del Barco, Atamaria, Beach Club La Manga

All’interno del Parco Naturale di Calblanque è anche possibile guidare fino al Beach Club La Manga. La zona in questione è tra le più esclusive di Cartagena, Spagna e le sue spiagge silenziose e curate.

Per accedere a quest’oasi paradisiaca bisogna entrare nella zona residenziale de La Manga. L’area è monitorata ed è accessibile da un unico punto sorvegliato da una guardia. Ma non bisogna preoccuparsi, le sbarre si alzeranno. Basta solo dire che la meta da raggiungere è Cala del Barco.

Per giungere alla spiaggia, si costeggia la costa sul promontorio e con dei tornanti si scende verso il basso. Il panorama dall’alto è impagabile. Al mattino il silenzio domina. In pochi approfittano delle ore più fresche per godere di quella pace.

La cala nelle ore più calde si riempie, non diversamente da altre spiaggette del Parco Naturale. Ma piena o vuota che sia, regala momenti indimenticabili, soprattutto sott’acqua, dove pesci di varie specie sgattaiolano via da rocce, scogli e posidonie.

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Cala del barco – Promontorio nel Parque Natural de Calblanque

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Cala Reona, spiagge di Cartagena

Situata a Sud della penisola di Cabo de Palos, la Cala reona appartiene all’area protetta della Riserva Marina. I fondali della zona formano una delle riserve più importanti del mar Mediterraneo.

Sita al confine con il Parque Natural de Calblanque, Monte de las Cenizas y Peña del aguila, è la meta regina per chi intende effettuare trekking ed escursioni nella penisola.

La costa Cálida, così è denominato questo litorale di Cartagena, ospita spiagge di sabbia dorata e acque chiare e trasparenti.

Circondata da numerose montagnelle, in molti si cimentano in escursioni, scalando le modeste cime da cui si aprono ampi panorami.

Ma Cala Reona è anche un angolo di pace. Sovrastato da colline rocciose, la spiaggietta è protetta da piccoli promontori che le consentono di restare nascosta e incontaminata.

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Cala Reona – Cabo de Palos, Cartagena, Murcia

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Playa El Portus, Cartagena Spagna

Spostandosi verso Sud invece Cartagena ospita un’altra meraviglia: Playa el Portus. Si accede in auto anche se il parcheggio è piccolo quindi conviene arrivare presto. Senza dimenticare che il presto in Spagna è differente da quello in Italia.

Chiaro è che al mattino si vive una maggiore tranquillità ed è possibile sdraiarsi nei pressi di una grotta. Se come nel nostro caso la spiaggia era ancora vuota, si può prendere il sole e nuotare in pieno relax con un posto privilegiato discostato dalla spiaggia principale.

Inoltre, qui l’acqua è tra le più cristalline di Cartagena Spagna dopo la Reserva Marina de Cabo de Palos. Lo snorkeling è caldamente consigliato e al suo interno si possono avvistare murene, aquile di mare, scorfani e pesci di origine tropicale dalle tonalità azzurre, verdi e gialle.

Tra tutte le spiagge di Cartagena visitate, questa è stata la nostra preferita. Ciò sia per la spiaggia sia per il colore dell’acqua. Ma anche per la varietà di pesci presenti già a riva e per il numero di persone inferiore alla media.

Cartagena Spagna spiagge Playa El Portus

Scopri con noi il viaggio nella natura, lontano dalle città e nel pieno rispetto dell’ambiente.

Lido di Montorfano: Un’Oasi di pace sul lago in Brianza

Intervista ad Alan Emanuele, gestore del Lido di Montorfano, che ci racconta di un angolo di natura nascosto in Brianza e di diverse attività che si svolgono nella Riserva Naturalistica in provincia di Como.

Lido di Montorfano in Brianza

In provincia di Como, nei pressi del lago di Montorfano, si può trascorre del tempo in pieno relax. Ciò approfittando di una spiaggia silenziosa, semplicemente stendendosi sul prato.

Qui si può anche usufruire dei numerosi servizi che offre l’adiacente lido di Montorfano. Così da svolgere attività ricreative nella natura. Proprio per questa ragione, il Team di Raianaraya ha intervistato Alan Emanuele, gestore del lido di Montorfano, per cercare di ottenere più informazioni riguardo a questo luogo di pace per scorpire tutto il suo vero potenziale.

Lido di Montorfano, lago di Montorfano, Como, Brianza

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Lido di Montorfano: le origini

Cos’è il Lido di Montorfano?
“Il Lido di Montorfano è un’attività a gestione familiare partita da zero e che solo con il tempo è diventata ciò che è oggi. “

Il Lido di Montorfano è una proprietà privata che da ben 16 anni viene gestita da Alan Emanuele e dalla sua famiglia. Nel 2004, quando è cominciata questa esperienza, il sito attrezzato era ben diverso da come è adesso: un luogo spoglio e senza nessuna attività annessa.

Negli anni, tuttavia, si è lavorato affinché questo luogo venisse sfruttato nel migliore dei modi, offrendo servizi mirati e nel pieno rispetto dell’ambiente.

Lido di Montorfano, lago di Montorfano, Como.

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Cosa offre il Lido di Montorfano

“Quali attività si possono svolgere nei pressi del lago?”
“Grazie alla Riserva Naturale è possibile fare passeggiate, nuotare nel lago, rilassarsi nei pressi del lido e molto altro”

Il Lago di Montorfano offre una vasta scelta per ciò che riguarda le attività nella natura. Alan Emanuele suggerisce sia passeggiate nel vicino bosco che costeggia il lago sia un itinerario pedonale attrezzato che circoscrive le sponde dello specchio d’acqua.

Alcuni abitanti locali invece vi si recano anche per attività più estreme. Ad esempio, gli appassionati di Triathlon utilizzano le sponde del lago per allenarsi. E tra gli allenamenti più temerari c’è sicuramente la traversata del lago a nuoto.

Ma non finisce qui. Il lido di Montorfano offre anche la possibilità di praticare yoga a stretto contatto con la natura e la balneazione con servizio bagnino.

Lido di Montorfano, lago di montorfano

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Gli eventi sportivi sul Lago di Montorfano

Quali eventi sportivi o attività sono state organizzate sul lago?
“Per alcuni anni abbiamo ospitato eventi di Triathlon, sono sicuramente quelli che hanno catturato di più l’attenzione.”

Per un paio d’anni, il lido di Montorfano ha ospitato una delle competizioni più estreme che esistano al mondo: il Triathlon. Questo sport comprende tre discipline aerobiche da svolgere a staffetta in un ordine preciso: nuoto, ciclismo e corsa.

Inoltre, date le condizioni imposte a causa della pandemia Covid-19, si è data la possibilità alla pallanuoto Como di portare avanti gli allenamenti nello stesso lago. Ma non solo.

Infatti, anche la Federazione Italiana Nuoto per Assistenti Bagnanti ha avuto l’occasione di continuare le proprie attività appoggiandosi alla struttura gestita da Alan Emanuele.

Lido di Montorfano

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Le leggende del Lago di Montorfano

Che storia ha questo lago e quali leggende si celano dietro di esso?”
“Il lago di Montorfano un tempo era utilizzato come ghiacciaia, tra le pareti più note ricordiamo la Darsena dei Pescatori. Mentre, per quanto riguarda le leggende, ho un mito da sfatare.”

In antichità, le sponde del lago di Montorfano fungevano da ghiacciaie. Infatti, in questo splendido lago della Brianza, era uso comune per i locali adoperarsi per recuperare i lastroni di ghiaccio che si formavano durante i periodi invernali.

Una volta trascinati sulla riva, i lastroni venivano sbriciolati e depositati in delle pareti scavate nelle immediate vicinanze. Dopodiché, nei mesi estivi, gli uomini potevano vendere il ghiaccio e ottenere i guadagni per il duro lavoro. In questo modo, non solo gli operai, ma anche la famiglia dei Barbavara, ovvero la proprietaria esclusiva della villa e del lago, approfittava per ricavarne bei profitti.

D’altro canto invece, una leggenda narra che nelle limpide acque di questo bacino si verifichino mulinelli così forti da trascinare a fondo qualsiasi uomo si ritrovi al loro interno, quasi come se fosse una sorta di maledizione per i bagnanti del luogo.

ma in realtà le cose stanno ben diversamente. Come ci tiene a precisare il gestore della struttura, nel lago non vi è traccia di questi fenomeni e nessuno è mai stato inghiottito da questi presunti vortici durante le frequenti traversate del lago.

“Il lido di Montorfano cos’è per te, Alan?”
“La sento casa!”

Lido di Montorfano (CO), Traversata del lago

La Grignetta: La Vetta Meridionale delle Grigne

Alla scoperta del massiccio montuoso delle Grigne immerso nel lecchese tra le guglie, i pinnacoli e le pareti rocciose. Questa è la nostra esperienza sulla Grignetta, la vetta meridionale delle Grigne.

La Grignetta

La Grigna appartiene al gruppo montuoso delle Grigne ed è una delle montagne alpinistiche più importanti della provincia di Lecco. La catena montuosa di cui fa parte è quella delle Prealpi Bergamasche o Orobiche. Ed è situata a sud delle Alpi Orobie nella zona del lecchese.

La conformazione per lo più rocciosa offre ampio spazio agli appassionati d’alpinismo e di arrampicata che ogni anno ne approfittano per scalare le sue ripide pareti.

Per ciò che comunemente viene chiamata Grigna in realtà si intende l’intera montagna del gruppo montuoso delle Grigne. Una parte è caratterizzata dalla Grigna di Campione, anche nota tra i locali con il nome di “Grignetta”.

Questa si estende sul versante sud da cui prende il nome, ossia Grigna Meridionale. La sua cima si eleva oltre i 2.184 m s.l.m. Poco meno della sorella, la Grigna Settentrionale, anche nota come Grignone, che invece vanta la vetta più alta dell’intero gruppo montuoso: 2.410 m s.l.m.

Grignetta, Grigna Meridionale

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La Leggenda delle Grigne

La Grignetta, così come il Grignone, è una montagna antica. E come capita spesso in alta quota, anch’essa è avvolta da un velo di misticismo.

Si narra che poco distante da Lario vivesse una donna di straordinaria bellezza. Una guerriera solitaria che con la sua avvenenza riusciva ad ammaliare gli uomini di passaggio anche solo con uno sguardo.

Tuttavia, la sua indole era malvagia e il suo spirito terribilmente spietato. Quando un giorno un valoroso cavaliere si imbatté in lei, non poté che innamorarsi di cotanta bellezza.

Non potendo vivere senza la splendida e meravigliosa donna che lo aveva stregato, decise di proporsi e chiederle la mano. E al contempo, si impose di dover riuscire nell’impresa anche a costo della morte stessa.

Così, il nobile cavaliere, giunto ai piedi della montagna su cui sorgeva il castello della donna, si avviò verso le mura. Non appena la guerriera avvistò l’uomo incamminarsi per la strada verso la fortezza, ordinò alla sentinella di ucciderlo.

La scena scosse il dio che non potendo sopportare tale atrocità, agitò le sue braccia e trasformò la terribile donna in una montagna, il Grignone. Mentre la sentinella, che aveva obbedito al suo comando, diventò la Grignetta.

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L’itinerario delle Grigne

La mattina ci svegliamo e d’istinto chiedo: Grignetta oggi? Lei accenna un lieve sorriso sul suo viso. Ed è un sì. Basta poco per iniziare a preparare tutto il necessario così da lanciarci fuori di casa in men che non si dica.

Prima raggiungiamo Piani dei Resinelli, in provincia di Lecco, per cercare un piccolo spazio in cui poter parcheggiare l’auto. Durante il weekend, in questa zona, oltre ad essere trafficato, è anche facile ritrovarsi imbottigliati. Infatti, essendo una meta ambita, sono in tanti che si cimentano nell’impresa.

Riusciamo a trovare parcheggio e una volta allacciati gli scarponi ci incamminiamo verso l’imbocco del sentiero. Scegliamo un percorso ad anello alquanto panoramico e di un fascino unico.

Tappe itinerario della Grignetta

Ecco come procederemo per il nostro itinerario in Grignetta:

  • imboccheremo il Sentiero delle Foppe.
  • Al bivio, devieremo per il sentiero dei morti
  • Arrivo al Rifugio Rosalba.
  • Superato il Rifugio, percorreremo il sentiero Cecilia
  • In seguito imboccheremo la Direttissima (entrambi attrezzati con catene)
  • Per poi giungere sulla Cresta Cermenati
  • Da questo punto si seguirà la cresta giungendo fino a Piani dei Resinelli.
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Alla Conquista della Grignetta

É giunto quindi il momento di partire. Dal Parcheggio proseguiamo in direzione del Sentiero delle Foppe. Ma non prima di una camminata di circa trenta minuti. Giunti all’ingresso del sentiero, proseguiamo sulla strada fino ad incrociare il Sentiero dei Morti.

La prima meta di giornata è il Rifugio Rosalba. Per raggiungerlo sono possibili due varianti. La prima giunge al rifugio per il sentiero delle Foppe, ossia il più facile e agevole. Il secondo, invece, è il Sentiero dei Morti. Un percorso più ripido ed esposto. Ma che regala tanto più in termini di vedute ed emozioni.

Siamo inglobati nel verde. Dal momento in cui abbiamo intrapreso il sentiero delle Foppe, fino al sentiero dei Morti, abbiamo proseguito in una fitta vegetazione. Tutto il sentiero è ricoperto in modo uniforme su tutta l’area.

A pochi minuti dal bivio, il bosco lascia spazio ad uno scenario più unico che raro. Sulla nostra sinistra emerge un canale che procede verso valle. Mentre di fronte a noi appare finalmente la sagoma del Rifugio Rosalba. A destra, invece, veri e propri pinnacoli rocciosi si elevano verso il cielo, circondati da guglie eterogenee dando vita ad uno scenario marziano.

Grignetta, Grigna Meridionale

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Arrivo al Rifugio Rosalba

Affascinati dal maestoso paesaggio appena offertoci, continuiamo a salire fino a raggiungere il Canalone. Un canale piuttosto esteso e profondo che presenta un terreno roccioso piuttosto vario. Ci aggrappiamo ad un cavo d’acciaio e ci lasciamo accompagnare per tutta la durata della discesa.

Le rocce, il terreno, i colori e la vegetazione, sempre più diradata, creano un contrasto ottico da lasciare incantati. Attraversiamo il canale ancora meravigliati e ci ricongiungiamo al Sentiero delle Foppe. Da qui proseguiamo in salita per circa venti minuti.

Eccoci, infine, al Rifugio Rosalba! Con un buco nello stomaco non da poco, cogliamo l’occasione per mandare giù un boccone al volo. Nel mentre osserviamo degli escursionisti avvicinarsi dalla direzione del Sentiero Cecilia: il nostro prossimo obiettivo.

Incuriositi, li salutiamo e gli chiediamo se avessero già affrontato il percorso. E qui purtroppo siamo messi al corrente di una notizia a cui non avremmo voluto credere. Il Sentiero è franato! Una notizia scioccante. Anche perchè il sentiero era meraviglioso e la sua ferrata: pura adrenalina.

E a questo punto non abbiamo altra scelta che cambiare il nostro itinerario sulle Grigne.

Grignetta, Grigna Meridionale

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Il Sentiero Giorgio

Prima di congedare i ragazzi, cerchiamo di recuperare informazioni su eventuali percorsi alternativi, visto che il sentiero Cecilia è impraticabile. La meta quindi è cambiata. Così, senza farci troppi problemi, ci rimettiamo in cammino.

Percorriamo questo piccolo tratto in salita e allo scollinamento ci ritroviamo davanti ad un altro paesaggio davvero maestoso e ammaliante. Il nostro sguardo si perde in questo tripudio di bellezza che in questa giornata continua a regalarci emozioni. Più in basso, a pochi metri da noi, il cartello indica la nostra prossima meta: Il Sentiero Giorgio.

Scendiamo in direzione della segnaletica fino ad imboccare il nostro sentiero. Questo tratto della nostra escursione è molto variegato e procede con un saliscendi continuo, quasi estenuante. Ma la via attrezzata ci permette di proseguire in completa sicurezza per quasi l’intero sentiero.

Per questa ragione, avere con sé un kit da ferrata sarebbe una scelta molto saggia. Cosa che consigliamo assolutamente di fare per affrontare questo percorso. La via è complicata e in alcuni punti raggiunge dei picchi di difficoltà da esperti.

Grignetta, Grigna meriodionale

Grignetta: attraversamento canale Angelina verso la Direttissima

Proseguiamo per la nostra strada tra vedute e meraviglie paesaggistiche che scorrono davanti ai nostri occhi. Torri di roccia svettano verso l’alto. Guglie di ogni genere e forma dominano lo scenario. Solo una nuvola le supera in altezza mentre attraversa sullo sfondo le Grigne.

Procediamo su di questa dentiera e continuiamo ad avanzare senza mai abbandonare i caratteristici saliscendi. Infine, raggiungiamo e attraversiamo il canale Angelina, poco distante dalla Direttissima.

In pochi minuti, infatti, raggiungiamo la Direttissima. Qui ricorriamo ad imbragatura e moschettoni, ben saldi alla catena, per attraversare la via ferrata. Per un breve momento siamo impegnati in un tratto angusto e pericoloso tra due rocce.

Dopodiché, scendiamo giù per una scala fino in fondo al Canale Pagani. Questo è un canale molto rinomato come via invernale, ma essendo un percorso per Escursionisti Esperti (EE), è importante sempre avere con sé piccozze e ramponi.

Una volta superato il canale, ci riaccostiamo alla catena che finalmente ci riaccompagna per questo ultimo tratto più complicato. Infine, giungiamo al termine della via attrezzata e finalmente possiamo procedere più agevolmente e senza l’uso dell’imbragatura.

Il Rifugio Porta e la Cresta Cermenati

Il sentiero procede con pendenze sostenibili anche se a tratti faticose. Raggiungiamo il bivio che ci immette sulla cresta Cermenati, ma ormai è buio e la stanchezza inizia a farsi sentire.

Proseguiamo così per la cresta fino a raggiungere il Rifugio Porta. Da questo momento in poi, mancano circa trenta minuti per l’arrivo alla nostra auto ai Piani dei Resinelli.

Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Questo circuito ovale, il nostro giro ad anello nelle Prealpi Orobie, è stato completato. E con il cielo stellato su di noi rincasiamo dopo una giornata fantastica nella natura in Lombardia.

Albufera València: il selvaggio Parco Naturale in Comunitat Valenciana

L’Albufera València, meglio nota come Parco Naturale dell’Albufera è un’area protetta in Comunitat Valenciana. Sede del lago più ampio di Spagna, questo ecosistema offre ettari di terra incontaminata alla città di València. A soli 10 chilometri dal centro.

Questa è una riserva protetta che non solo regala crepuscoli da sogno, ma che consente anche di essere esplorata con itinerari a piedi o in bici con estrema facilità.

Ma andiamo a scoprire cos’è l’Albufera di València e come visitarla, godendo dei suoi scenari più suggestivi.

Tramonto dall’Albufera di València

Albufera València

In origine era un golfo marino, trasformato in seguito in un lago d’acqua dolce per tutelare il paesaggio e le specie aviarie presenti al suo interno. Noto per essere tra le maggiori zone umide di interesse nazionale e internazionale, l’Albufera di València è stato dichiarato zona ZEPA, ovvero zona di protezione speciale per l’avifauna.

Lo specchio d’acqua è separato dal mare per via di una striscia di sabbia nota come la Dehesa del Saler. In diversi punti comunica con il Mediterraneo attraverso canali controllati per gestirne la portata dell’acqua. Ed è costellato di isolotti che ne favoriscono la proliferazione di specie animali.

Nel lago è piuttosto comune la pesca e non è difficile imbattersi in pescatori locali. Chiunque venga a visitarlo non resiste ad un giro in barca. Meglio durante le ore della Puesta del sol, al tramonto, quando i colori infuocati del sole sembrano ardere nell’acqua.

Ma l’Albufera di València è molto di più. Il Parco Naturale dell’Albufera è chilometri di spiaggia, mare cristallino, ettari di risaie e vegetazione selvaggia.

gola di pujol, Albufera di València. Parco Naturale dell'Albufera, Dehesa del Saler
Stagno di Pujol, Albufera, València

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Parco Naturale dell’Albufera

Il paesaggio dell’Albufera è costellato di acquitrini e risaie. Questo muta nel colore e nell’aspetto con l’alternarsi delle stagioni e delle fasi delle coltivazioni agricole:

In estate ad esempio risplende di un verde acceso. In inverno diventa uno specchio naturale e riflette il cielo nell’acqua che ricopre le risaie. Mentre dopo la raccolta lascia emergere il colore della terra, scoperta fino al nuovo momento di semina.

Il Parco Naturale dell’Albufera presenta anche habitat naturali unici con ecosistemi autoctoni di gran fascino. Ad esempio, nella zona della Dehesa del Saler, è possibile camminare tra dune naturali e fitti boschi di aghifogle, in particolare di pini.

Al contempo, per ammirare le bellezze paesaggistiche locali, non vi è modo migliore che lanciarsi nella sua vegetazione lussureggiante. E rilassarsi sulla candida sabbia di spiagge solitarie. Ma in particolare, vivere appieno le playas de la Devesa, de El Saler e de la Garrofera.

Playa de la Devesa, Parco Naturale dell'Albufera
Playa de la Devesa, Parco Naturale dell’Albufera, València

Come raggiungere l’Albufera da València

Arrivare all’Albufera da València è semplice. I trasporti pubblici, EMT València, collegano il villaggio di El Palmar e il Parco Naturale con linee continue. Infatti, dal 2022 sono disponibili anche corse notturne che coprono le 24 ore.

I biglietti sono economici, con un euro e cinquanta si acquistano due corse: andata e ritorno. Anche se le ricariche sul carnet sono da dieci biglietti. Pertanto, con otto euro avrete a disposizione dieci viaggi.

Seppur la soluzione comoda è quella che piace di più, soprattutto se si hanno pochi giorni a disposizione. A noi l’Albufera València è piaciuto così tanto da farcelo visitare più volte e sempre in bici. E di fatto non credo ci siano modi migliori per esplorarlo in toto. Anche perchè il Parco è esteso e scoprirne i segreti diventa difficile se si va in autobus.

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Albufera in bici

Un’escursione in bici è la soluzione che vi consigliamo. in particolar modo perché è così vicino alla città da poter essere raggiunta in meno di un’ora. Tra l’altro, è da ricordare che il Parco Naturale dell’Albufera comprende un’area molto più vasta del lago principale. Tutto ciò che lo circonda è selvaggio, puro, reale.

Dal centro di València si segue la ciclabile che corre lungo i Jardins de Turia. Superata la famosa Ciutat de les Arts i les Ciències, si giunge all’Oceanografico, l’acquario più grande d’Europa. Dopodiché, la ciclabile vi condurrà, anche attraverso segnaletiche, prima verso Pinedo e poi nei meandri del parco naturale.

il tratto che più colpisce è quello che ha origine all’incirca all’altezza de la Playa de El Saler. Da questo punto in poi sembra di essere nel bel mezzo della natura. Lontani da qualsiasi civiltà. Quasi come se si fossero percorsi duecento chilometri per lasciarsi alle spalle València. Ma la realtà è che siamo a poco meno di dieci chilometri di distanza.

Tra El Saler, la Garrofera e la Devesa si vive un’aria di pace. La vegetazione, protetta e tutelata, ha la meglio e trova le sue vie per proliferare. Il silenzio invece è rotto solo da un’intermittenza di suoni che provengono dagli animali più disparati. Siano essi autoctoni o migratori. Ed è questo il bello dell’Albufera, la natura che domina a pochi passi da una città.

pista ciclabile nel Parco Naturale dell'Albufera, come arrivare ad Albufera da València

Fauna Albufera València

L’Albufera di València è dimora di 350 specie avifaunistiche diverse durante tutto l’anno. Alcuni uccelli sono autoctoni e vi trovano rifugio permanente. Mentre altri volatili acquatici vi trascorrono solo i mesi estivi o invernali, come i fenicotteri. Detto questo, è impossibile elencare tutti gli uccelli presenti nella zona. Tuttavia, è possibile fare un elenco di quelli più importanti e particolari:

  • Ibis nero
  • Aquila minore
  • Falco di palude
  • Airone cenerino, rosso e reale
  • Cormorano
  • Fenicottero rosa
  • Fratino eurasiatico
  • Sterna comune
  • Cavaliere d’Italia
  • Tuffetto
  • Avocetta
  • Spatola bianca
  • Folaga
  • Charadrius dubius
  • Corvo notturno o Nitticora
  • Pollo sultano comune

Ma la fauna del Parco Naturale dell’Albufera è vasta e rappresenta una parte considerevole del patrimonio naturale della Comunitat Valenciana in Spagna.

fenicotteri albufera

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Albufera València: dove vedere il tramonto

Una delle peculiarità dell’Albufera è il tramonto. Dato che dal mare non si può ammirare, il lago diventa un posto strategico per poter assistere a una delle principali meraviglie quotidiane. Di sicuro, uno dei punti favoriti è il mirador de Pujol, a pochi passi dalla fermata dell’autobus.

Immaginate di essere su un pontile di un lago. Leggere increspature risplendono al chiarore della luce. Una tonalità, prima di un arancio accesso, poi di un rosso scarlatto, conquista la scena. All’orizzonte un gruppo di aironi sorvola una piccola isoletta. Mentre il sole cala, fino a quasi diventare un tutt’uno con lo specchio d’acqua.

La luce si fa più soffusa. Uno stormo di anatre saluta il giorno. E in un batter d’occhio si è catturati da un silenzio irreale. Un velo di luce rossa ora segna l’ultimo istante. Ormai tutto tace. Un altro miracolo ha donato luce ancora una volta all’Albufera di València. Uno spettacolo che si ripete ogni giorno.

tramonto albufera di valencia

Vivi la magia del Parco Naturale dell’Albufera anche tu. Ma prima di partire, non dimenticare di seguirci e viaggiare con noi sulle Alpi italiane, sulla Great Ocean Road in Australia e nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.

Great Ocean Road in Australia, itinerario on the road in Victoria

La Great Ocean road è un itinerario su strada che attraversa alcuni dei tratti naturalistici più rari d’Australia. A pochi passi dalla città di Melbourne, la lunga lingua d’asfalto accompagna tra le insenature e i promontori a strapiombo sul mare, addentrandosi tra veri capolavori naturali. Noti sono i Twelve Apostles, meglio conosciuti in Italia come i 12 Apostoli, ma anche il London Bridge, la Gola Loch Ard, il Great otway National Park e le decine di cittadine marinare disseminate sul tratto di costa del Victoria. Un imperdibile meta degna di un vero viaggio on the road.

Le nostre tappe sulla Great Ocean road

  • Port Campbell National Park
  • London Bridge
  • Gola Loch Ard
  • Twelve Apostles
  • Great Otway National Park
  • Philip Island (extra)
Port Campbell National Park in Victoria, Australia

Great Ocean road

Con un estensione di ben 243 chilometri, la grande via oceanica in Victoria è patrimonio nazionale australiano. Giungendo da Adelaide, il famigerato tratto di costa ha origine dal villaggio di Allansford. Da premettere che la costa del Victoria, così come del resto del South e Western Australia, offre vedute e scenari di una bellezza sconvolgente ovunque. Così come accaduto durante il nostro viaggio on the road nel selvaggio outback australiano in cui abbiamo incontrato scogliere a strapiombo, gole scolpite dalla natura e spiagge candide bagnate da acque cristalline. Quelle del grande Oceano del Sud.

Una scelta che non si rimpiange mai è un viaggio da Melbourne ad Adelaide. In tanti optano per questa soluzione così come lo è stato per noi, anche se al contrario, dato che giungevamo dal Western Australia. In questo modo, abbiamo avuto l’occasione non solo di apprezzare la Great Ocean road, ma di visitare chilometri di costa lussureggianti e selvaggi. Meno turistici e per questo ancora meglio conservati. Immersi in un silenzio che sembra voler parlare.

Le tappe dell’itinerario del Victoria tuttavia sono decine ed è sempre alquanto difficile scegliere quello più giusto. In questo caso, la nostra scelta è ricaduta sulle meraviglie naturalistiche, evitando ogni centro abitato e godendoci solo il piacere del creato. O meglio, assistendo agli spettacoli di madre natura, che in Australia sembrano essere di una luce diversa. Un bagliore divino.

Ciò che desideravamo era assistere a silenziose notti stellate, ammirare scogliere remote, passeggiare su spiagge desolate e osservare la fauna locale. E non vi è posto migliore di questo per farlo! Rilassatevi quindi e lasciatevi trasportare tra le suggestive mete del Victoria.

Quanti giorni sulla Great Ocean road?

Provenendo da un lungo viaggio on the road e con una destinazione ancora lontana dall’essere vicina, abbiamo optato per tre giorni. Ma di norma in tanti scelgono di restare per più giorni, tra i 4 e i 7. La scelta dipende per lo più dal tipo di attività che si vuole svolgere una volta in strada. E di possibilità questo tratto di costa ne offre in gran quantità:

  • Fare escursioni
  • Visitare i borghi
  • Passeggiare su spiagge desolate
  • Avvistare i pinguini
  • Nuotare con gli ornitorinco
  • Ammirare le maestose scogliere
  • Inoltrarsi tra le foreste dei Parchi Nazionali

E queste sono solo alcune delle decine di soluzioni a disposizione tra cui poter scegliere.

Cosa vedere sulla Great Ocean Road

Il lungo serpente che collega Allansford con Torquey consente di guidare per centinaia di chilometri tra verdi promontori, lande selvagge e antiche foreste australiane. Spesso in prossimità di grotte e conformazioni rocciose scolpite in ere geologiche.

L’Australia con la Great Ocean road regala un angolo di paradiso in cui poter vivere un’esperienza del tutto nuova e inusuale. Infatti, qui il clima è piuttosto rigido in inverno e non solo vi sono colonie di pinguini, ma il paesaggio sembra appartenere più a zone della Scozia che alla terra dei canguri. Ma ora è giunto il momento di conoscere quali sono le mete on the road che abbiamo raggiunto in questo viaggio.

Twelve Apostles

Inutile dire che i 12 Apostoli sono stati una delle ragioni principali per cui abbiamo scelto di percorrere la Great Ocean road. Ed è facile capirne il perché. Enormi colossi di roccia emergono dall’oceano. Ad un primo sguardo, a risaltare all’occhio attento sono gli strati sedimentari. Questi ne definiscono l’età geologica. Ma i mastodontici pinnacoli non sono solo questo. I faraglioni, anche se svettano solitari, in passato erano connessi alle scogliere calcaree dei vicini promontori. L’erosione ha con il tempo isolato questi giganti a cui oggi è stato affidato il nome di Twelve Apostles.

Questi pilastri calcarei stupiscono non solo per la loro prominenza, ma anche per il contrasto che creano con le spiagge sottostanti, con l’oceano e con gli archi e i pendii delle remote conformazioni rocciose sulla costa. Uno scenario ammaliante, così vasto da sembrare senza confini. Una destinazione che l’Australia tutela e salvaguarda con dedizione. Una località il cui passato riecheggia fino ai giorni d’oggi.

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London Bridge

A pochi chilometri, circa 15 minuti in auto, dai 12 Apostoli, sorge un altro figlio dell’estrema erosione: il London Bridge. L’enorme arco di natura calcarea oggi emerge completamente circondato dalle acque del temibile Oceano del Sud. Ma come avvenuto per molte di queste conformazioni, un tempo era parte anch’esso della scogliera. Il nome come si può immaginare proviene dall’omonimo Tower Bridge di Londra, probabilmente per la sua possenza e la sua altezza vertiginosa che gli consente di primeggiare sul mare.

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Gola Loch Ard

Sito in Port Campbell National Park, la Gola Loch Ard è nel tragitto che dal London Bridge porta ai 12 Apostoli. La sua caratteristica principale è l’erosione. La gola, trasformata dall’acqua e dal vento, mostra pareti rocciose dolci, arrotondate, quasi come un velo in balìa di una brezza al mattino. Le forme, di una realtà quasi marziana, consentono di tornare indietro nel tempo. Quando l’uomo era ancora ai suoi albori e a dominare era la natura, incontrastata.

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Thunder cave nel Lord Ard Gorge

Camminando dal Lord Arch Gorge si raggiunge la Thunder cave; con origini ben oltre i 20 milioni di anni, è di sicuro uno dei capolavori di Madre Natura più straordinari da poter scovare sulla Great Ocean road. In Italiano è nota come la cava del Tuono. Questo perchè il frastuono dell’infrangersi delle onde insieme al vento danno vita ad un fracasso di cui è facile accorgersi. Le rocce calcaree che costituiscono il perimetro circostante splendono in cima di un verde lussureggiante. Mentre gli strapiombi risplendono di un chiarore raro, che incanta e sconvolge per la sua immensa bellezza.

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Great Otway National Park

Nei pressi di Apollo Bay non si può non guidare nel boscoso Great Otway National Park. Al suo interno si attraversano foreste e cascate. Inoltre, per chi vuole svolgere attività outdoor, grazie ai numerosi campeggi, è facile cercare sistemazione per organizzare passeggiate, escursioni e snorkeling. Noi abbiamo approfittato della vasta scelta per fermarci una notte e dormire nella nostra tenda Coleman.

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Philip Island: il gioiello del Victoria

Una volta a Melbourne, finita la Great Ocean road, non resta altro da fare che impostare il navigatore verso un’ultima località: Philip Island. Seppur ben al di fuori del tragitto, vale davvero la pena una visita. Ciò che sconvolge in maggior modo è la presenza di colline di un verde smeraldo. Ma anche il brulicare di wallaby, canguri di piccola taglia, che scorazzano a destra e manca indisturbati e letteralmente ovunque.

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L’isola, collegata con una strada sul mare, presenta le caratteristiche tipiche di una località nordica, piovosa e quindi con una vegetazione abbondante. Al contempo, qui a fare la differenza sono le scogliere, nere come il carbone. Il contrasto tra rocce e flora genera uno spettacolo mozzafiato. E viaggiando in auto sui suoi docili pendii, sembra quasi di solcare i mari del Nord, in cerca di una terra lontana, antica. Al confine di ogni realtà. Lì dove il sole tramonta, in cerca di un nuovo giorno.

Xàtiva da València: escursione al Castello dei Borgia

Alla scoperta del borgo medievale di Xàtiva, con un’escursione al castello per apprezzare ampie vedute a 360° e vivere la storia di Spagna

Visitare la Comunitat Valènciana è come sperimentare un viaggio nel tempo. Ti trasporta indietro nei secoli per esplorare quelli che in passato furono teatri di scontri, intrighi, battaglie e imprese epiche. La Spagna infatti brulica di borghi e città storiche con un patrimonio culturale da invidia. Una di queste località è adagiata tra le dolci colline della regione di València: Xàtiva. Qui è possibile intraprendere un’escursione sul castello di Xàtiva da València che conduce tra le rovine e i forti dei Papa Borgia. Il tutto senza ricorrere all’uso di un’auto.

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Come arrivare a Xàtiva da València

La rete ferroviaria in Spagna è ben collegata e fornisce corse quotidiane per qualunque città si voglia visitare. Nei tratti brevi, i costi sono contenuti e vale la pena approfittarne. Di fatto, per arrivare a Xàtiva da València basta acquistare un biglietto del treno direttamente dalla Estaciò del Nord, stazione di partenza, o dal sito ufficiale delle ferrovie di Spagna, ossia la Renfe.

Dalla Stazione Centrale di València quindi si può viaggiare su un treno di Media Distancia, MD, al costo di 5 euro, andata e ritorno. In media sono circa 40 i minuti per arrivare a Xàtiva.

La storia del borgo dei Borgia

Il borgo di Játiva ha una storia antica che risale al paleolitico. Come rivelano anche le recenti scoperte archeologiche con i resti di Neanderthal ritrovati, la Cova Negra, appena fuori dal centro, che lo hanno reso un sito di interesse storico-culturale definito nel 2006: Paraje Natural Minicipal.

Durante l’epoca romana, il borgo diventò colonia dell’impero e con il nome di Saetabis Augusta, svolse un ruolo di rilievo sulla Via Augusta che collegava Roma a Cartagena e a Cádiz. Nel Medioevo fu distretto amministrativo, sede vescovale e ospitò la prima fabbrica di carta in Europa.

Ma ciò per cui è più nota la città è la presenza della nobile famiglia pontificia dei Borgia. In particolare, questo fu il borgo natale di due Papa Borgia, ossia Callisto III e Alessandro VI.

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Il Castello di Xàtiva

La fortezza sorge su un’altura che sin dal periodo romano fu strategica per la protezione e la sopravvivenza della città. La peculiarità del Castello di Xàtiva risiede nella sua struttura. Infatti, si estende in lunghezza e presenta due forti alle due estremità:

  • Castillo Menor, alla sinistra;
  • Castillo Mayor, alla destra;

Lo stile architettonico è caratteristico del periodo Gotico Valenciano e ancora oggi stupisce per i suoi tratti unici. All’interno delle sue mura si possono ammirare i giardini, le palme, la cisterna dell’acqua, le stanze in rovina e le antiche sezioni del castello divise da torri imponenti. Inoltre, si può apprezzare un panorama dall’alto su tutta l’area di Játiva.

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Escursione per il Castillo de Játiva

Giunti nell’antico borgo in provincia di València, è possibile esplorare ogni suo angolo e lanciarsi anche all’avventura con il giro delle fonti. Infatti, la cittadina in Comunitat Valenciana presenta decine di antiche fontane disseminate sull’intero perimetro. Ma ciò può essere posposto anche per più tardi. Prima si può intraprendere l’escursione per i due castelli di Xàtiva.

Dalla stazione si attraversa la strada e si comincia a salire. Játiva è costruita su dei pendii e pertanto, bisogna percorrere qualche chilometro in lieve salita. Le fortezze si intravedono già quando si percorrono le viuzze tra le case e gli antichi edifici del paese. Oltre alla facilità orientativa, si è anche aiutati da insegne precise e frequenti. Si attraversa l’intero borgo e si imbocca un sentiero tra i tornanti che conducono in cima.

Questo è il tratto più naturalistico dell’escursione al Castello di Xàtiva. Infatti, si viene sommersi dalla vegetazione per poi finire, tra grotte e alberi, nei pressi di una cava naturale. Il sentiero nella natura consente di perdersi per pochi istanti nel silenzio, interrotto solo dal cinguettio degli uccelli e dai propri passi. Infine, si raggiunge il Castello: Sito di Interesse Culturale e Patrimonio Storico di Spagna.

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La doppia fortezza

Le mura del castello di Xàtiva consentono l’accesso solo dalla strada principale. In circa 50 minuti si raggiunge l’entrata ed è qui che si inizia ad esplorare la prima fortezza. Nell’ala destra delle mura sorge il Castillo Mayor, il più grande e che necessità di più tempo per la visita.

In questa parte è possibile ammirare le mura e le torri maggiormente conservate. In particolare, nonostante le sue radici romano-iberiche, ad oggi si possono apprezzare prevalentemente le costruzioni di origine gotica e islamica.

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Nell’area più ampia si elevano le torri di vedetta più nuove e le antiche stanze residenza di nobili e cavalieri. Appena si comincia a salire, in cima ad una lunga scalinata, domina una fontana scortata da due cannoni. Un cortile costellato di palme e una fonte con uno stile arabeggiante affaccia sul borgo medievale.

Il panorama è sempre più suggestivo. Xàtiva infine vuole mostrare il meglio di sé. Uno scenario lussureggiante circonda lo strategico punto elevato. E non bisogna far altro che osservare, con una quiete fuori dal comune, un paesaggio immemore.

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Xàtiva è un angolo di Spagna ricco di storia, cultura, architettura e natura. Per vivere un’esperienza da sogno è proprio questo il luogo giusto da visitare.

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