Viaggiare on the road

Il viaggio, nell’epoca del consumismo, si è trasformato nell’esatto contrario del suo significato originale, dimenticando che l’autentico viaggiare è libertà e pura vita. Un’esperienza capace di cambiare le prospettive che si hanno del mondo percorrendo un cammino spirituale e culturale

Autore: Raianaraya Nature Experience

Quando si parla di Viaggio, oggigiorno, è facile incappare nella trappola della giostra del settore turistico. Un avido sistema che ha come unico scopo quello di produrre denaro, ma che ha anche contribuito attivamente nel rendere molte delle mete maggiormente visitate luoghi comuni senza più tratti distintivi.

Pensandoci bene, non è difficile notare come qualsiasi aeroporto sia diventato identico all’altro o come ogni città, preda del turismo sfrenato, abbia raggiunto uno standard di omologazione quasi inquietante presentando gli stessi negozi, le stesse catene di ristoranti e fast food, gli stessi complessi alberghieri e, talvolta, perfino le stesse tradizioni.

Vacanza è la parola chiave che comprende tutte quelle attività più o meno dispendiose legate quasi esclusivamente al solo relax. Purtroppo, questa forma di evasione turistica esclude tutta quella parte definibile come la linfa vitale del viaggio in sé, ossia l’entrare in contatto con la cultura locale, addentrarsi nelle aree selvagge e incontaminate del luogo e semplicemente percepire l’atmosfera in cui vive la popolazione autoctona.

Il viaggiare è tutt’altra cosa e non fa assolutamente affidamento sulla macchina del turismo. Il viaggio è un cammino, un’esperienza profonda e autentica capace di permeare negli strati più profondi sia dell’anima sia del tessuto culturale e sociale locale, ovvero, nella realtà più pura e vera del pianeta. Un’avventura all’insegna della scoperta e della conoscenza diretta del mondo. Come si può, quindi, intraprendere un percorso del genere?

Sal, dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo.
– Per andare dove, amico?
– Non lo so, ma dobbiamo andare.

Jack Kerouac
viaggiare on the road

Viaggiare on the road

Sono molte le modalità di viaggio che si avvicendano in questo ventunesimo secolo. Zaino in spalla, cammini o pellegrinaggi, escursioni, week end in montagna o il semplice visitare una città; queste sono solo alcune delle numerosissime possibilità tra cui scegliere quando si è in dubbio sul da farsi per raggiungere la prossima meta. Ugualmente, un’altra via è segnata da quel viaggiare senza vincoli e senza barriere:

viaggiare on the road

Se da un lato i modi di viaggiare sopracitati regalano istanti di estrema connessione con l’ambiente circostante, dall’altro il viaggio on the road si propone come una strada infinita priva di vincoli e limitazioni. Quest’ultimo è di sicuro la giusta misura da seguire se l’idea di base è quella di uscire da ogni schema sociale e culturale. Vivere un’esperienza unica lontano dai comfort, dalle abitudini e dai propri costumi, quasi come se si rinascesse al fine di esplorare e conoscere quelle proprietà autoctone di un luogo sconosciuto.

Inoltre, il viaggio così inteso allontana dalla comfort zone: uno status mentale in cui non si percepisce alcun rischio futuro a discapito di una vita monotona e routinaria che celi al suo interno la paura dell’ignoto. Quando si abbandona totalmente questa zona apparentemente sicura, ma che in realtà occulta la vita reale, finalmente si riesce a sperimentare quella forza interiore scatenata da quel sentirsi completamente liberi e in piena sinergia con l’ecosistema circostante.

Infine, una peculiarità assolutamente da non sottovalutare è quella del poter decidere, in qualsiasi momento, dove andare e cosa fare: ascoltare appieno la dimensione della propria essenza. Fermarsi a pochi passi dall’oceano a guardare le stelle nel silenzio più profondo, relazionarsi con la gente del posto ed entrare in lunghe e stimolanti conversazioni, guidare per mille chilometri senza meta o semplicemente perdersi in un verdeggiante parco; un modo unico di vivere la propria vita incondizionatamente e in quel preciso momento.

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Vivi con noi il viaggio on the road sull’East Coast australiano:
Il Minimalismo e la vita on the road in Queensland
Raianaraya Nature Experience

Irpinia, il Cuore della Campania

L’Irpinia è una florida terra adagiata tra le vallate centrali della regione Campania. Un luogo dove natura, storia e tradizioni locali creano un’atmosfera singolare che solo chi vi è stato può comprendere appieno

Autore: Raianaraya Nature Experience

Nell’area territoriale adagiata tra le dolci colline e i modesti rilievi appenninici della Campania, sorge l’Irpinia; una terra che conserva ancora oggi quei tratti storico-culturali che nei secoli ne hanno caratterizzato la sua evoluzione. Compresa prevalentemente tra le verdeggianti vallate della provincia di Avellino, l’antica terra degli Irpini confluisce a sud con la splendida Salerno e con i confini della Basilicata.

Sul versante orientale, la città medievale di Ariano Irpino indica gli ultimi chilometri prima di addentrarsi nella regione costiera della Puglia, mentre, il fiume calore, originatosi dai Monti Picentini, scorre placido e conduce attraverso le naturali conformazioni geologiche alla vicina città delle streghe, Benevento. Infine, ad occidente, si estende la cosmopolita e caotica Napoli.

Mirabella Eclano, Avellino, Campania, il cuore dell'Irpinia

Gli Hirpini e il Lupo

Le origini dell’Irpinia tutt’oggi non sono del tutto chiare. Ciò è dovuto alla mancanza di fonti storiche che ne testimonino il suo corso in modo lineare. Tuttavia, grazie alla riscoperta di alcuni reperti di epoca romana, si è giunti alla conclusione che questa popolazione avesse pieno controllo del territorio già prima delle guerre sannitiche, IV-III secolo a.C.

Infatti, le gesta degli irpini sono decantate già ai tempi delle guerre espansionistiche di una Roma allora repubblicana. Stanziati pressappoco nell’odierna Campania tra le valli dell’Ofanto, del Sabato e dell’Ufita, questa stirpe di gente appartenente ai Sanniti parlava l’osco, una lingua condivisa da buona parte dei popoli italici meridionali nei secoli antecedenti all’impero romano.

Irpinia, Avellino, Campania, scavi archeologici, rovine romane

Curiosa è l’etimologia del nome con cui questo popolo decise di farsi chiamare: Hirpini. Parola che deriva da Hirpus, ovvero lupo in osco. Si narra che la gente irpina fosse di indole rozza e belligerante e che per queste ragioni si identificasse orgogliosamente con la figura di Marte, Dio della guerra, della forza e della virtù umana.

Gli Irpini, inoltre, mostravano un considerevole rispetto per un animale selvaggio locale. Una bestia che ancora oggi rappresenta la forza, il coraggio e lo spirito di resistenza: il lupo. Presumibilmente, dovuto forse anche alle sue caratteristiche mitiche, la tenace e vigorosa figura del lupo venne accostata alla divinità Marte. Difatti, divenne simbolo della stirpe irpina contraddistinguendola a lungo.

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Tramonto dalla cittadina di Mirabella Eclano (AV), Campania

Mito e leggende: dalla Janara ai Lupenari

Quando si è piccoli, i nostri nonni fanno sfoggio di tutti quei racconti e di quelle credenze locali che lasciano chiunque le ascolti sempre alquanto affascinati. In fondo, in ogni cultura del pianeta compaiono leggende o miti, narrazioni misteriose e talvolta occulte che trattano di elfi, divinità, demoni o qualsivoglia entità magica. In effetti, qualsiasi popolo è come se attingesse le proprie tradizioni da creature ed eventi sovrannaturali.

Allo stesso modo, anche l’Irpinia appare impregnata di misticismo e scenari fiabeschi. Tra le figure più rinomate, una posizione di rilievo è assegnata ai mitici lupenari, uomini che, nati durante la notte di Natale, hanno osato sfidare Cristo e per questo sono condannati ad un’esistenza da dannati. Infatti, ad ogni luna piena, i poveri malcapitati si trasformano in licantropi e vagano tutta la notte per i boschi e le campagne del posto.

Lupi mannari, Irpinia, Campania

Nell’area centrale della Campania è spesso menzionato anche il magico e maligno scazzamauriello. Si narra che questo elfo fatato sia di piccole dimensioni e sia vestito in abiti scuri e cupi. Nel cuore dell’Irpinia, l’entità oscura si presenta sotto forma di un omuncolo peloso e pare si diverta a disturbare il sonno delle persone sedendosi sulla loro pancia durante la notte.

Infine, un’emblema del beneventano, ma che si è esteso anche nelle vicine terre irpine è la Janara. Una strega malvagia, abile negli incantesimi e profonda conoscitrice delle erbe naturali, che la notte vaga per tormentare i sogni degli sventurati. In origine, la janara di Benevento soleva incontrarsi con altre fattucchiere sotto di un noce dove, insieme, compievano riti e veneravano il demonio. Queste sono soltanto alcune delle decine di leggende che circolano da tempo immemore in queste antiche località irpine.

Janara, Irpinia, Campania

Monti Picentini e Monti del Partenio

Parte delle catene montuose appenniniche situate in Campania convergono nel rigoglioso territorio irpino dando vita a scenari montuosi alquanto suggestivi e offrendo splendidi panorami sulle sconfinate vallate sottostanti. I due massicci principali sono quelli dei Monti Picentini e dei Monti del Partenio. I primi raggiungono le altitudini più importanti, tra i quali, il Monte Cervialto, il Terminio e il Polveracchio che dominano sull’intera area circostante con i loro corrispettivi 1.809, 1.806 e 1.790 metri s.l.m.

Sul monte Cervialto si organizzano escursioni, in genere, partendo dall’altopiano di Laceno, nel comune di Bagnoli Irpino, che prende il nome dall’omonimo lago. Quest’ultimo è meta turistica soprattutto durante le festività, infatti, non solo in alcuni periodi invernali è possibile sciare, ma molti campani, in particolare del napoletano, approfittano della pace e della tranquillità della montagna per evadere dal caos e dallo stress quotidiano.

Lago Laceno, Bagnoli Irpino, Irpinia, Campania
Lago Laceno, Bagnoli Irpino

La località dei Monti Picentini è molto rinomata per quello che viene considerato come l’oro nero della gastronomia: Il tartufo nero. Ogni anno, infatti, è possibile degustare molte varietà di piatti tradizionali a base del pregiato fungo alla festa del tartufo di Bagnoli Irpino. Mentre, nella vicina Montella, si trova un parco attrezzato naturalistico, il Bioparco Fattoria Rosabella, in cui è presente una cascata e un sentierino lungo il fiume che vi ci conduce. Un luogo rasserenante dove si può trascorrere una giornata nella natura incontaminata e degustando prodotti tipici locali.

Infine, i Monti del Partenio sono rilievi con una quota relativamente inferiore a quelli Picentini. Noti in particolare per la grande produzione di nocciole a livello nazionale, questi monti si presentano con una conformazione più compatta e omogenea. Tra le montagne della catena montuosa, quella più celebre è Montevergine, nel comune di Mercogliano, per via dell’omonimo Santuario Abbazia.

Montevergine, Avellino, Irpinia, appennini centrali
Veduta da Montevergine, Mercogliano, Avellino

I borghi incontaminati dell’Irpinia

In questo magico angolo d’Italia, sparpagliati in modo eterogeneo, sorgono antichi e remoti borghi medievali. In alcuni casi, evidenti sono le tracce del passato locale che talvolta sono riconducibili al paleolitico e al neolitico. I siti archeologici di maggiore rilievo sono sicuramente gli scavi di Abellinum ad Avellino e gli scavi di Aeclanum nella città di Mirabella Eclano. Entrambe le località sono di epoca romana ed erano dei centri nevralgici lungo la via Appia, unico vero collegamento per la vecchia Apulia, ossia l’odierna Puglia. Reperti romani sono stati rinvenuti anche nella panoramica Frigento, una piccola cittadina a quota 911 metri s.l.m. che veniva utilizzata dai romani per immagazzinare e conservare le scorte di cibo destinate a rifornire l’Irpinia e buona parte della Campania.

Una caratteristica che accomuna molti dei borghi irpini è sicuramente la loro elevata posizione. Infatti, buona parte di questi paesini è ubicata su rilievi che talvolta oltrepassano anche i mille metri di altitudine. La località con la quota più importante d’Irpinia è Trevico, un piccolo centro abitato a sud est della suddetta area geografica in cui è ancora possibile rivivere quel silenzio senza tempo immerso nella natura selvaggia circostante. Molto suggestivi sono anche Monteverde, classificato come uno dei borghi medievali più belli d’Italia e Nusco, definito il balcone d’Irpinia per la sua ampia veduta sulle verdeggianti distese limitrofe.

Rocca San Felice, Irpinia, Campania
Panorama Rocca San Felice, Irpinia

La medievale Rocca San Felice, immersa nella natura, domina sulle vallate dell’alta Irpinia e si impregna di mito con la Valle d’Ansanto, anche nota come Mefite. Quest’ultima era considerata dagli Irpini un luogo sacro dove poter venerare la Dea Mefite, divinità a cui chiedevano ricchezza e protezione. Altri borghi in alta quota sono Zungoli, Bisaccia, Calitri, Guardia dei Lombardi, la Gesualdo del rinomato madrigalista e Lioni.

Oltre ad essere immersi nella natura, alcuni paesini di quest’area della Campania offrono anche vere prelibatezze a livello internazionale. Taurasi, ad esempio, con l’omonimo vino DOCG possiede alcuni dei vigneti più invidiati al mondo. Ad Avellino è possibile degustare alcuni dei vini bianchi pregiati d’Italia, tra cui il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo.

Vigneti Irpinia, Avellino, Campania

L’Irpinia è una terra legata fortemente alle sue tradizioni ed è plasmata da una storia ancora tangibile che non smette mai di stupire. I borghi e le località da scoprire sono molti e sarebbe stato impossibile riuscire a citarli tutti. In questo articolo ho voluto semplicemente raccontare di un luogo a me molto caro poiché è lì che sono nato ed è lì che risiedono le mie radici.

Venite a sognare con noi immergendovi nei borghi abbandonati inghiottiti dalla natura selvaggia tra l’Abruzzo e le Marche.
Raianaraya Nature Experience

Pastori: i custodi della montagna

Autore: Danilo D’Onofrio

Ora che non ci sono più, ne avvertiamo tristemente l’assenza. Erano e resteranno sempre loro i veri custodi della Montagna Madre: i pastori. D’estate vagavano sparpagliati su tutta la Majella con le loro greggi, lasciavano i paesi risalendo lentamente le vallate fin nei punti più alti selvaggi per passarvi circa tre mesi, governando le pecore affinché brucassero lì dove dovevano e non dove esse volevano.  

Essi abitavano nelle loro residenze estive, innumerevoli grotte naturali che costellavano i versanti della Majella ad alte quote; erano attrezzate per essere occupate dignitosamente nei mesi caldi, così come avveniva da secoli e secoli. Il versante orientale era quello che orograficamente più si prestava alla loro antica attività, sia per la conformazione naturale del territorio sia per l’esposizione soleggiata.

Majella Abruzzo

I pastori facevano in modo che nulla mancasse alle loro poche e indispensabili esigenze, che fosse per lavoro o anche per riposo; riuscivano con efficace e concreta maestria e rendere quelle grotte quasi confortevoli. Esse erano efficientemente completate per affrontare il tempo avverso che nessuna estate poteva scongiurare su quella montagna, dove il meteo aveva previsioni tutte personali e dove neanche una nevicata estemporanea era esclusa.

Era scontato percorrere sentieri in estate ed imbattersi improvvisamente in greggi di pecore belanti e pastori che spesso urlavano per radunarle. Esse creavano corridoi naturali tra quegli arbusti di pino mugo spesso impenetrabili che, senza di loro, tornano ora a compattarsi in barriere insuperabili. Senza la loro presenza, senza più quell’odore forte impresso sulla roccia, quelle voci e quei versi portati dal vento, la Majella pare più povera.

Siamo stati testimoni di un’attività che ha segnato la cultura del nostro territorio per millenni e ora, proprio nell’era del “tutto possibile”, vediamo cancellati capitoli importanti della nostra storia e delle nostre tradizioni.

Ogni grotta della Majella ha una storia, un nome identificativo; ogni masso posto sull’altro ha significato grandi gesta di gente rozza, forte, ignorante ma gentile. Quando ora infiliamo curiosi la testa in una di quelle che erano per i pastori dimora, chiudendo gli occhi, possiamo ancor avvertirne l’essenza.

I loro ricoveri erano semplici, architettura presa in prestito dalla natura stessa del luogo e completata secondo le esigenze; tutto il materiale che poteva servire era ricavato da quello che avevano a disposizione in loco. Dovevano trovare conforto per essi stessi e un ricovero vicino per il gregge che permettesse le diverse fasi di gravidanza delle femmine, mungitura e, non per ultima, la difesa dagli attacchi dei lupi.

Percorrendo gli innumerevoli sentieri che risalgono la Majella dal versante orientale, si possono osservare le migliaia di cavità naturali che per secoli hanno ospitato i pastori e le loro greggi; qualcuno ha avuto la pazienza, e ancor di più la passione, di censirle. Alcune di esse sono state riadattate a piccoli rifugi-ricoveri, comode per essere sfruttate in caso di maltempo o per passarvi una notte quando ci si cimenta in traversate nei luoghi più improbabili, sconosciuti e selvaggi della Majella. Questi sono luoghi lontani dagli itinerari più battuti e, in quanto all’aspetto selvatico, questo gruppo montuoso forse non ha eguali.

Majella- Tholos

Non abbiamo altra testimonianza della loro attività millenaria se non quella che noi stessi possiamo ricordare, se non quella scritta silenziosamente nella visione di quelle grotte, se non quella incisa da loro stessi su massi erranti. I più istruiti riuscivano a riportare almeno i nomi di loro stessi e quello del paese natio, una croce come simbolo della loro fede e qualche frase nostalgica.

L’altro versante della Majella invece è maggiormente ricco di costruzioni in pietra denominate Tholos, parecchi ormai distrutti ma tanti ancora stoicamente in piedi, sentinelle della Valpescara.  I Tholos sono veri e propri capolavori di architettura rurale-pastorale, assolutamente a secco, dove la giusta posa della materia prima permetteva ai pastori di trovarvi un riparo sicuro anche dai temporali. In alcuni casi venivano eretti veri e propri complessi agro-pastorali, costituiti da più Tholos e collegati tra loro da corridoi e recinti sempre in pietra. 

Personalmente ho un vivido ricordo di un incontro in particolare tra i tanti in cui ci si poteva rirovare; un pastore all’epoca già settantenne, basso e muscoloso, asciutto, arzillo e divertente, la pelle temprata dagli elementi a cui era sottoposto da una vita, la mano sproporzionatamente grande e callosa. Si affacciava tra i mughi e chiamava i passanti cercando di vendere i suoi prodotti caseari a chilometro 0: si chiamava Domenico ed era di Pennapiedimonte.

Ed oggi, come fosse l’ultima eredità del destino, è rimasto un pastore di nome Domenico, di Fara San Martino, ultimo testimone ed ultimo rappresentante di quella razza di pastori che tra qualche anno inevitabilmente scomparirà. Domenico Di Falco è l’ultimo che ancora, ogni estate, conduce il suo gregge ai pascoli del Vallone di Santo Spirito e più in alto fino a Val Cannella. Rimane per tre mesi a Piano La Casa e nella sua Grotta Gelata, con una spettacolare vista a sud sul mare Adriatico.  

Oggi, nell’era del digitale e dei virus, raccontando della dura vita di quella gente, possiamo cadere nella sensazione di parlare di qualcosa di arcaico, quasi preistorico, uomini delle caverne in uno dei paesi più industrializzati al mondo. Eppure è storia recente, e in quanto storia e tradizione abbiamo almeno l’obbligo di metterla a conoscenza dei posteri, affinché conoscano le nostre vere radici.
Raianaraya – Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

Alla Scoperta dei 5 Eremi più belli d’Abruzzo

Un viaggio alla scoperta dei cinque eremi più belli d’Abruzzo. Luoghi di culto immersi nel cuore delle montagne. Lì dove la natura e la spiritualità convivono in perfetta armonia. Cinque mete da tenere a mente per chi vuole immergersi nella serenità mistica delle montagne Abruzzesi.

I 5 eremi più belli d’Abruzzo

Da sempre l’Abruzzo ha affascinato viaggiatori italiani ed europei grazie alla varietà dei suoi paesaggi. La regione possiede diversi parchi, tra cui il Parco Nazionale d’Abruzzo, il Parco Nazionale della Majella e il Parco Nazionale del Gran Sasso.

Ognuno di essi ha delle caratteristiche uniche in termini di paesaggi che li rende mete perfette per escursionisti e amanti della natura. La bellezza di tali panorami è arricchita dalla presenza di numerosi luoghi di culto come chiesette, abbazie ed eremi.

Tra il XI e il XVII secolo, numerosi uomini di fede decisero di ritirarsi tra le montagne selvagge abruzzesi in cerca di pace e tranquillità. Questi luoghi erano perfetti per la preghiera e la meditazione proprio grazie alla loro posizione geografica che li rendeva spesso quasi inaccessibili.

Caverne e gole furono trasformate in luoghi di culto lontani da ogni distrazione: gli eremi. Oggi è possibile ammirare questi piccoli musei a cielo aperto percorrendo sentieri immersi nel silenzio e nella natura incontaminata. 

Gli eremi abruzzesi sono numerosi, di seguito è riportata una lista dei cinque più famosi e suggestivi.

Abruzzo, eremi

Eremo di San Bartolomeo in Legio

L’eremo di san Bartolomeo si trova sulla Majella, nel Vallone di Santo Spirito, ad un’altezza di circa 700 metri. Come molti altri eremi, è stato costruito sfruttando una sporgenza rocciosa chiusa artificialmente per ricavarne un riparo.

L’eremo fu restaurato nel 1250 da Pietro da Morrone, in seguito divenuto papa con il nome di Celestino V, ma si presume che fosse abitato già da molto prima. È uno degli eremi più affascinanti d’Abruzzo, un luogo mistico completamente scavato nella roccia raggiungibile attraverso due diversi sentieri. 

Il primo parte dal borgo di Roccamorice; si scende lungo un sentiero agevole finché non si raggiunge una stretta galleria scavata nella roccia. Scendendo alcuni gradini ci si ritrova davanti all’entrata di questo affascinante luogo di culto, sulla cui porta è ancora visibile un affresco raffigurante Cristo e la Vergine Maria.

L’altro percorso passa per la Valle Giumentina e permette di vedere l’eremo dal versante opposto, perfettamente mimetizzato sulla bianca pietra della Majella.

Eremo di santo Spirito a Majella

L’eremo di Santo Spirito è uno dei luoghi di culto più importanti della Majella. Fondato da Papa Celestino V e abitato fin dai primi anni dell’800, rappresenta l’unione perfetta tra architettura religiosa e natura.

Il luogo di culto è situato poco più in alto rispetto all’eremo di San Bartolomeo ed è facilmente raggiungibile tramite una strada asfaltata percorribile in auto. L’entrata principale porta all’interno della chiesetta; uno stretto passaggio molto suggestivo e scavato nella roccia conduce invece all’interno di due stanze.

Salendo la Scala Santa si arriva ad una balconata coperta dalla quale si ammira il meraviglioso paesaggio circostante. 

Abruzzo, eremi

Eremo di San Giovanni all’Orfento

L’eremo di San Giovanni è uno dei più singolari e suggestivi. Fu anch’esso meta di numerosi credenti, primo tra tutti Pietro da Morrone che vi dimorò per diversi anni. Il percorso che conduce a questo eremo è sicuramente uno dei più difficili a causa delle lunghe ore di cammino necessarie.

Si parte dalla frazione di Decontra, in provincia di Caramanico Terme, e si prosegue fino a Pianagrande dove inizia la salita tra praterie e capanne di pietra. Dopo aver superato due fontanili ci si inoltra nel bosco e si prosegue per circa 40 minuti sul Sentiero dello Spirito

Sollevando lo sguardo si scorge finalmente l’eremo scavato nella roccia; ma in questo caso entrare non è affatto facile.

In passato si accedeva al luogo di culto tramite una passerella, mentre oggi bisogna salire una scaletta rocciosa e strisciare pancia a terra per l’ultimo tratto, attraverso uno stretto passaggio a qualche metro da terra.

Solo i più coraggiosi riusciranno ad entrare nell’umile grotta ricavata scavando la dura roccia e caratterizzata dalla presenza di numerosi canali e vasche di raccolta per l’acqua piovana.

Eremo di Sant’Onofrio al Morrone

L’eremo di Sant’Onofrio fu la residenza di Papa Celestino V, le cui memorie vi sono custodite ancora oggi. Per raggiungere l’eremo si parte dal Santuario di Ercole Curino, nei pressi di Sulmona.

Si sale per 30 minuti su gradini scoscesi e si giunge di fronte alla chiesa incastrata tra le rocce. Il complesso fu restaurato dopo la Seconda Guerra Mondiale e si presenta oggi come un edificio a pianta rettangolare con soffitto ligneo quattrocentesco.

L’interno comprende un oratorio e altre piccole stanzette, il tutto ornato da numerosi affreschi, tra i quali spicca quello raffigurante Celestino V. Nella parte inferiore della chiesa c’è la Grotta di Pietro, dove, secondo tradizione, il Papa si ritirava in preghiera.

Dal grande terrazzo si può ammirare lo sconfinato paesaggio che scende alle pendici della montagna e godere della tranquillità tipica di questi luoghi di culto.

Abruzzo, eremi

Eremo di San Martino in Valle

L’eremo è costituito dalle rovine dell’abbazia posta alla fine delle Gole di San Martino, in provincia di Chieti. Si attraversano le gole percorrendo un canyon scavato nella roccia dove lo sguardo si perde spesso verso l’alto, incantato da tanta maestosità.

L’eremo è in rovina ma resta un luogo magico e suggestivo per chiunque si fermi ad ammirarlo. I resti mostrano un cancello posto verso il cortile interno del complesso, e sono visibili anche il campanile a vela e le tre navate che costituivano l’interno della chiesa.

Il nucleo iniziale della chiesa si presenta scavato nella roccia: questo fa ipotizzare che in principio l’abbazia fosse nata come eremo. Nel 1818 un’alluvione ricoprì l’intero complesso sotto i detriti, e solo nel 1929 le rovine furono riportate alla luce insieme alle spoglie di un santo eremita.

Sentiero dello spirito

Il sentiero è lungo circa 73 chilometri ed è percorribile generalmente in quattro giorni; è un percorso escursionistico che attraversa le montagne abruzzesi toccando molti dei luoghi eremitici della Majella.

Il sentiero parte dalla frazione Badia, vicino Sulmona, proprio di fronte all’Abbazia di Santo Spirito al Morrone. Si passa quindi per l’Eremo di Sant’Onofrio e si sale in cima al Monte Morrone passando per l’Eremo di San Pietro.

Il secondo giorno si attraversa la Valle dell’Orfento dove si può visitare l’Eremo di Sant’Onofrio e si raggiunge la località di Pianagrande. Da qui, il terzo giorno, si arriva all’eremo di San Giovanni e si prosegue fino agli eremi di Santo Spirito e San Bartolomeo.

L’ultimo giorno si passa per gli eremi di Sant’Angelo e Sant’Onofrio a Serramonacesca e si conclude il percorso visitando l’Abbazia di san Liberatore a Majella.

L’Abruzzo può essere la meta perfetta per chiunque abbia voglia di un po’ di avventura. Rappresenta il connubio perfetto tra mare, montagna e luoghi di interesse artistico.

Gli eremi non sono che una piccola parte delle molteplici meraviglie nascoste nel cuore dell’Abruzzo. Sono luoghi mistici che vale la pena visitare almeno una volta nella vita, la loro bellezza si cela nei sentieri naturalistici che li circondano ma anche nella tranquillità e la spiritualità che regalano ad ogni visitatore.

Articolo pubblicato su Agenda Viaggi

Autore

Eva D’Onofrio

Traveller, amante della natura ed escursionista nata. Esplora gli Appennini abruzzesi da quando era piccola e sogna di visitare i luoghi più selvaggi del mondo.

Snow Park Abruzzo: sci-alpinismo

Autore: Danilo D’Onofrio

Potremmo chiamarlo con l’acronimo SPA, l’estensione che ci balena in mente è quella che tutti conosciamo meglio! Snow Park Abruzzo sarebbe un inglesismo che piacerebbe a tanti, ma il senso che vogliamo dare non è quello di speculare commercialmente sulle nevi d’Abruzzo. Le piste affollate e le fiaccolate notturne esistono e danno il loro contributo economico in questa porzione di penisola; ma esiste un Abruzzo Bianco, un deserto di neve candida ed immacolata, che rappresenta uno dei terreni più meridionali d’Europa dove praticare sci-alpinismo.

Sci-alpinismo in Abruzzo

Ce n’è per tutti i gusti, o meglio, per tutte le capacità e difficoltà: per chi vuole osare oltre e per chi vuole fare lunghe salite con pelli di foca ed un tranquillo ritorno a valle su dolci pendii. Ma c’è un aspetto importante, unico e fondamentale che attira ormai da diversi anni il popolo del nord, gente avvezza a questa pratica già solo per cultura: si tratta dell’isolamento che si percepisce sulle nostre montagne e che regala quelle sensazioni ormai dimenticate sulle Alpi costellate di tralicci, funivie, strade e alberghi in alta quota.

In Abruzzo è ancora possibile trascorrere una giornata in montagna senza scorgere elementi di disturbo, facendo affidamento solo sulla propria preparazione fisica e psicologica. Sono luoghi dove si può ancora accarezzare la sensazione di isolamento totale, osservare estasiati i lupi correre in fila sulla neve, i cervi che arrancano affondando nella coltre o un’aquila che ti osserva dall’alto; tutto questo tenendo sempre conto del repentino cambiamento di tempo.

Non per ultimo, anzi piuttosto un elemento caratteristico, la visione del mare Adriatico che accompagna lo sci-alpinista nelle belle e terse giornate invernali, come a ricordare che stiamo sciando sulle nevi del Mediterraneo dove, nonostante la latitudine, e a dispetto della quota mai paragonabile a quella delle Alpi, la colonnina di mercurio spesso registra le temperature più rigide della penisola. Questo è il motivo stesso per cui, nelle migliori annate, la neve scende così abbondante da trovarla fino ad estate avanzata permettendo di fare le migliori sciate in maniche di camicia la mattina, per poi regalarsi un bagno al mare nel pomeriggio!

Le montagne abruzzesi sono esposte ai quattro venti, quindi a qualsiasi tipo di perturbazione interessi il centro-sud; quando i gelidi venti di grecale accompagnano le perturbazioni dai Balcani, si può facilmente assistere al curioso ed inusuale fenomeno della neve che lambisce il mare, che piega i rami degli ulivi e che imbianca gli agrumeti carichi di frutti colorati come alberi di Natale perennemente addobbati. La Majella, proprio per la sua vicinanza alla costa e per la quota piuttosto rilevante (20 cime oltre 2500 metri s.l.m.), viene letteralmente spazzata da venti gelidi e sommersa da metri e metri di coltre bianca.

Abruzzo

Le alture nelle vallate adiacenti alla Majella, specie nell’alto Sangro, restano esposte ancor più per via della barriera di protezione che degrada maggiormente dal lato meridionale dell’Abruzzo. In queste zone, i paesini arroccati come in un presepe Francescano sono spesso citati in cronache da record! Paesi come Capracotta, dove nella piazza principale del paese, sul muro del Palazzo Comunale, delle tacche ricordano le nevicate che nei decenni hanno letteralmente seppellito le case. Si parla di nevicate record di 5 metri e di anni in cui, in 24 ore, caddero più di 2 metri di coltre.

Tuttavia, numeri a parte, imbattersi in questo tipo di esperienze fa dimenticare di trovarsi a queste latitudini a favore della sensazione di trovarsi da tutt’altra parte, in paesaggi da cartolina più blasonati, come quelli che si vedono nelle riviste di località invernali del Nord Europa.

sci-alpinismo

Venite a scoprire insieme a noi l’Abruzzo e i suoi borghi abbandonati nascosti tra le montagne.
Raianaraya – Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

Airlie Beach e le Whitsundays

Ottobre 2014, la traversata dell’East Coast australiano zaino in spalle dormendo in auto: Tappa Airlie Beach e Whitsundays

Autore: Raianaraya Nature Experience

Era una splendida mattina, il sole aveva già cominciato a fare capolino all’orizzonte e il cielo azzurro e limpido trasmetteva una piacevole calma. Davanti a me l’oceano, le onde e il suo fragore che sembravano quasi invitarmi per un tuffo mattutino. Sul lato, Angelo, il compagno d’avventura, che stava in procinto di svegliarsi.

La notte non era stata del tutto piacevole, tuttavia, erano anche un po’ di giorni che dormivamo in auto e della comodità non vi era alcuna traccia da più di una settimana. D’altro canto, in quel modo avevamo raggiunto il Queensland e il nostro obiettivo si stava avvicinando, la gioiosa cittadina costiera a nord della costa est australiana: Cairns.

Queensland, Airlie Beach, australia, on the road

Airlie Beach

La mattina di cui vi sto parlando risale ad un preciso momento di quel viaggio unico. Quel giorno eravamo nel piccolo paesino di Airlie beach, una piccolissima località marittima dove campeggiatori, backpacker e turisti di ogni genere si incontrano per trovare un po’ di pace e vivere le bellezze locali.

La spiaggetta della Airlie Bay è molto carina e spesso poco affollata. Quindi, si può godere di una pace sconcertante. Noi, però, curiosi di scoprire nuove realtà, dopo una passeggiata rinvigorente sulla battigia, optammo per un’esplorazione delle vicinanze in auto.

Attraversando le verdeggianti coste della regione delle Whitsundays, ci imbattemmo in scenari mozzafiato. Boschi, strapiombi e spiaggette disseminate per l’intera costa rendevano la guida una meravigliosa avventura. Ad un certo punto, lungo la strada, un cartello di quelli turistici dal color noce scuro riportava per esteso: Conway National Park Coral beach walk.

Di getto, mi fiondai nella piazzola di sosta adiacente e parcheggiai l’auto. Ad Angelo sembrava piacere l’idea e così, con quell’entusiasmo tipico di chi ha sete di nuove mete, ci immergemmo nella fitta vegetazione del parco nazionale.

spiaggia Airlie Beach, Whitsundays,

Conway National park

Il sentiero all’interno del parco nazionale era molto agevole anche se spesso la flora raggiungeva il sentiero quasi impossessandosene. Radici o rami dalle forme più strane si estendevano in modo disparato cercando di raggiungere un posto sicuro dove assicurarsi più luce.

Attraversavamo il percorso segnato e dopo appena pochi minuti di cammino, un enorme lucertolone ci tagliò la strada scendendo dal pendio alla nostra sinistra e procedendo in direzione dell’acqua sul versante opposto. Era la prima volta che avvistavamo un varano e, per lo più, enorme e dalla pelle scura segnata da piccole macchie bianche sul dorso. Un inaspettato incontro ravvicinato con la fauna tipica delle Whitsundays.

Proseguimmo addentrandoci nei meandri dell’area boschiva e prima di raggiungere la designata Coral beach, tentammo di ispezionare un piccolo boschetto in assenza di sentiero. Piante di ogni genere svettavano come grattacieli verso il cielo e piccoli cespugli si divincolavano tra la fitta boscaglia.

La particolarità principale di questo immenso parco nazionale è la penisola di Conway: una terra sconfinata ricoperta dalla foresta pluviale tropicale di pianura più estesa del Queensland. Per questa ragione, al suo interno è possibile ammirare alcune delle specie floreali più rare del pianeta, infatti, in questo tipo di foreste risiedono circa la metà delle specie del pianeta. Un polmone terrestre con un ecosistema ricco e raro che possiede le caratteristiche perfette per la vita.

Conway National Park, Airlie Beach, Whitsundays, coral bay

Coral beach

In circa due ore percorremmo l’intero sentiero fino a giungere alla rinomata Coral beach. Fra gli ultimi alberi verso la costa, l’azzurro del cielo e dell’oceano iniziavano a filtrare con la chiara luce del mattino. Uscimmo dalla foresta ed ecco uno di quegli scenari suggestivi che rimarranno per sempre indelebili nella nostra mente:

un oceano blu profondo che si perdeva a vista d’occhio, una spiaggia ben diversa dal normale per via delle innumerevoli ossa di antichi coralli sbiancati che la componevano; e infine, la foresta pluviale che faceva da contorno all’intero paesaggio. Un luogo magico in cui poter davvero entrare in contatto con quelle arcaiche connessioni con la natura selvaggia e incontaminata.

Trascorremmo ore cogliendo e scrutando approfonditamente la distesa di coralli. Migliaia e migliaia di resti biancastri unici sia nella forma sia nella dimensione. La pace ci avvolse completamente e quasi come dei bambini alla vista di un nuovo giocattolo, iniziammo a trovare le differenze tra i rari fossili.

Sembravamo due paleontologi intenti nella ricerca delle caratteristiche biologiche delle antiche creature depositate all’estremità della costa di Airlie Beach. Dopo circa un’oretta spesa ad esaminare ogni angolo di questo paradiso in terra, mancava ancora qualcosa, l’isola incantata.

Coral Beach, Whitsundays, Queensland

Whitsundays, la White heaven beach

Ritornati all’auto, mangiammo qualcosa al volo e ci dirigemmo verso il Terminal di Airlie Beach: il porto locale. La motivazione era più che scontata, in effetti, da lì era possibile imbarcarsi e raggiungere le vicine isole delle Whitsundays.

Nello specifico, la nostra meta era una delle spiagge tra le più bianche al mondo: la meravigliosa white heaven beach. Tutti i viaggiatori che avevamo incontrato, prima e durante la nostra traversata dell’East Coast australiano, avevano nominato almeno una volta questo luogo sia per sentito dire sia per esperienza diretta. Perciò, la nostra irrefrenabile curiosità era alle stelle e, quindi, non restava che lanciarci in questa nuova avventura.

Acquistammo il nostro ticket e salpammo. Erano circa le due del pomeriggio e finalmente eravamo a bordo del traghetto diretto verso l’ambita destinazione. La prima sosta fu la Hamilton Island, un’altra incantevole isola delle Whitsundays, dopodiché navigammo ancora per circa trenta minuti. Eccola, infine, la magnifica white heaven beach, davanti a noi, bianca e candida come la neve e bagnata dalle acque più limpide mai viste nella nostra vita.

Un tripudio di bellezza che si estendeva per qualche chilometro fino a raggiungere un delta suggestivo e unico nel suo genere. Passeggiammo sulla riva di quest’isola per ore, perdendoci nella sconcertante armonia e magnificenza di tale luogo. In quel momento, ogni pensiero sembrava essere svanito e tutto appariva come in uno stato di equilibrio naturale.

White heaven beach, Whitsundays, Queensland

A malincuore, dovemmo rientrare ad Airlie Beach, saremmo rimasti a tempo indeterminato fermi a contemplare la fine e bianca sabbia di quella spiaggia. Tuttavia, l’isola è visitabile a fasce orarie e non è concesso restare in quel posto al di fuori di quelle ore se non in presenza di un tour organizzato.

Una volta giunti alla nostra auto eravamo soddisfatti e sul nostro viso era ben evidente la gratitudine per quella incredibile esperienza appena vissuta. Così, con la gioia negli occhi, decidemmo di passeggiare per il piccolo paese e, chissà, semmai anche mettere qualcosa sotto i denti. In fin dei conti, avevamo trascorso una giornata eccezionale in ottima compagnia e vivendo davvero, in quel momento.

Esplorate con noi Byron Bay, la fantastica località marittima dell’East Coast australiano, e la vita on the road nelle selvagge terre del Queensland, Australia.
Raianaraya Nature Experience

I Borghi abbandonati d’Abruzzo

Autore: Danilo D’Onofrio

Guardarsi attorno e perdere la consapevolezza del presente, del luogo in cui ci si trova: è quello che accade spesso a chi si cimenta nella scoperta dei borghi abbandonati compresi tra i Monti della Laga e i Monti Gemelli, divisi soltanto dalla Valle Castellana e dalle acque del torrente omonimo che vi scorre placido, delimitando i confini provinciali, tra Teramo e Ascoli Piceno, e regionali, tra Abruzzo e Marche.

Curioso e divertente è guidare risalendo la valle, passando da una sponda all’altra, attraversando i ponti e ritrovandosi quindi continuamente da una provincia all’altra. Più ci si addentra nel cuore della valle, più colpisce il graduale isolamento, l’intensità della vegetazione e la maestosità dei patriarchi della natura, che in questo luogo pare abbiano trovato giusta dimora. Osservando bene il paesaggio e alzando lo sguardo sui pendii boschivi, non è facile, se non per i buoni osservatori, scoprire vecchie casette spesso disabitate che ben si mimetizzano nell’ambiente.

abruzzo, borghi abbandonati

Siamo a pochi chilometri da modesti centri abitati, poco lontani dal caos della capitale, eppure questo luogo non ha niente da invidiare a ben più blasonati santuari della natura e ai vicini parchi nazionali del Gran Sasso-Laga e Sibillini. Quasi surreale è bearsi di questo isolamento e del trionfo della natura a così poca distanza dall’affollata riviera adriatica o dalle stupende piazze medioevali di Ascoli Piceno. Ma non è ancora niente rispetto a quello che si può scoprire abbandonandosi in vecchi e sepolti percorsi che portano al cuore pulsante di questo posto incantevole e fiabesco.

La quota modesta, pedemontana, permette di esplorare la zona in qualsiasi periodo; è meglio evitare l’estate inoltrata per via del caldo, l’autunno è senz’altro il periodo migliore, quando i boschi misti esplodono in mille sfumature di colori. I castagni secolari sono i veri protagonisti della flora, i loro tronchi maestosi spiccano per grandezza ed eleganza, come isole nell’oceano vegetale tutto intorno.

borghi abbandonati d'abruzzo

Ai fianchi di questa valle, ad un’altezza compresa tra i 600 e gli 800 metri di quota, sono disseminati un certo numero di borghi; parecchi di essi sono ormai abbandonati da decenni mentre altri possiedono ancora qualche tenace abitante. Inoltre sui colli è presente una buona “spolverata” di casali buttati alla rinfusa e isolati dai borghi per qualche strano motivo, ma che posseggono un fascino davvero particolare. 

Camminare tra rovine, acciottolati, viuzze, arcate e vecchi orticelli, e affacciarsi discretamente dentro una vecchia mangiatoia avvertendone ancora l’odore di stalla, permette di immaginare la dura vita di quei tempi. Col silenzio come unica colonna sonora, ci si immedesima in quella vita caratterizzata dall’immane lavoro di cui possiamo intuire l’efficacia in ogni ambito, in particolar modo in un autosostentamento necessario e vitale. Qui la gente viveva di quel poco di agricoltura che il territorio permetteva, di pastorizia, di ciò che fruttavano i boschi da cui ogni borgo era circondato e dalla raccolta di castagne.

natura e borghi d'abruzzo

Gran parte di questi borghi non era toccata neanche da strade percorribili dai carri trainati, ma vi erano solo strette mulattiere e labirinti di sentieri nei boschi. Altra caratteristica strana e grottesca: pare che negli anni ’70, proprio con l’arrivo dell’energia elettrica, sia iniziato il graduale abbandono di questi borghi, come se i vecchi abitanti non avessero gradito quel tocco di civilizzazione!

Tutto il territorio si presta a chi vuol provare il brivido della vera esplorazione; forse proprio in questi luoghi, più che in alta montagna, è richiesta una spiccata predisposizione all’orientamento e all’isolamento. Soltanto da pochi anni qualcuno ha pensato bene di ridare lustro e valore a questi antichi borghi, ormai quasi completamente sepolti dalla vegetazione, e dare respiro ai fantasmi che aleggiano ancora tra quelle vecchie mura.  

abruzzo tra natura e borghi abbandonati

Il borgo che per primo ha usufruito delle cure di qualche cuore generoso è Laturo, ormai simbolo di questa lenta rinascita e riscoperta. Stilare una lista lascia certamente nell’oblio per dimenticanza tanti piccoli nuclei, tra cui ricordiamo Valle Pezzata, Settecerri, Collegrato, Leofara, Olmeto, Valzo, Cortino, Fioli e Case Giosia. Un vero universo a sé, un viaggio nel passato dei nostri avi, un tuffo nella wilderness per eccellenza, una carezza alle tradizioni scomparse, un omaggio silenzioso alla memoria di gente buona, onesta e coraggiosa: l’abruzzese “forte e gentile” per antonomasia.

Quale migliore occasione per un turismo ecosostenibile che dia il giusto valore ad un termine spesso inflazionato? Ma per arrivare a questa condizione bisogna uscire dai soliti schemi, scartare i soliti sentieri ormai super gettonati; i borghi di Valle Castellana danno la possibilità di fare esperienze uniche e rispolverare le nostre vere origini. Con l’aiuto di qualche opportuna e mirata politica locale, si darebbe la possibilità di invertire la tendenza di abbandono purtroppo ancora molto diffusa.

paesi diroccati e borghi antichi abruzzo

La sentieristica è in via di espansione e qualche buona pubblicazione regala la possibilità di avventurarsi in questi luoghi inesplorati: questi sono oggi aspetti fondamentali per un buon approccio da parte dei meno esperti. Negli ultimi anni sono stati pubblicati degli scritti di memorie e qualche resoconto di chi ha voluto trascrivere le emozioni ricevute nel respirare il fascino camminando nella leggenda.   

Ogni volta che mi ritrovo e mi perdo, mi perdo e ritrovo nel fascino di questi posti. Non posso non chiedermi quale sia il vero progresso, non posso non chiedermi cos’altro ci occorre oggi se a quella gente bastava quel nulla che possedeva. Torno spesso in quei posti: c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, ancora a giocare al piccolo esploratore. Ma quando finirà l’incanto della scoperta, quando non sarà più possibile “perdersi” o provare a farlo, resterà sempre il fascino del mistero, il racconto silenzioso di un tempo e della sua gente che non tornerà più.
Raianaraya Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

Pizzo dei Tre Signori – Val D’Inferno: Cambio di Piani

La seconda metà dell’escursione sul Pizzo dei Tre Signori e la tappa inaspettata al rifugio Santa Rita

Autore: Raianaraya Nature Experience

Nello scorso episodio avevamo conquistato la gloriosa cima del Pizzo dei Tre Signori e la nostra avventura sembrava essere terminata, ma in realtà, qualcosa di molto inaspettato stava per succedere: Il ritorno non sarebbe stato come programmato. Ecco cosa è accaduto una volta giunti in cima.

Pizzo dei Tre Signori

La Discesa dal Pizzo dei Tre Signori

Intenti a cercare una via di ritorno, ci imbattiamo in due escursionisti che gentilmente ci indicano un percorso più diretto per rientrare. Inoltre, grazie a quella conversazione, scopriamo di aver affrontato la direttissima per salire fino in cima al Pizzo.

Informati su cosa fare e avvertiti riguardo a una cresta abbastanza difficile, intraprendiamo la nostra escursione di ritorno. Iniziamo ad incamminarci in direzione Val Gerola e con tutta l’adrenalina di chi ha appena scalato una delle cime più ambite delle Alpi Orobie, procediamo leggeri, quasi come se la stanchezza fosse stata anestetizzata per alcuni minuti.

Procediamo verso valle e una coltre di nubi inizia a rarefarsi, fasci di luce tagliano il cielo e illuminano parti della vallata circostante. Finalmente, abbiamo una panoramica mozzafiato sull’intero territorio: ai nostri piedi il leggendario Lago d’Inferno, in lontananza si intravede il Rifugio FALC, tutto davanti a noi invece prende forma uno spettacolo con l’alternarsi delle Alpi bergamasche, mentre a nord la Valtellina

la discesa dal pizzo dei tre signori

Destinazione Rifugio Santa Rita

Giungiamo alla forca, il collegamento da cui si possono ottenere tutte le indicazioni necessarie per raggiungere le diverse mete che offre il luogo. Tre le diverse possibilità, optiamo per il Rifugio Santa Rita. A questo punto manteniamo la nostra sinistra per non imboccare il sentiero per la Val Gerola, deviando per la Val Biandino. Camminiamo su queste rocce completamente immersi nella natura e sopraggiungiamo al cospetto della tanto attesa cresta attrezzata della quale eravamo stati avvertiti precedentemente per la sua difficoltà.

Con molta prudenza, procediamo saldi alla catena, evitando di perdere la concentrazione. In questo frangente, le bellezze paesaggistiche finiscono per ammaliarci e lasciarci ripetute volte sbalorditi. Infine, al calar del sole, ecco sopraggiungere all’orizzonte la sagoma del rinomato Rifugio Santa Rita. Siamo scesi di nuovo a quota 2.000 metri s.l.m. e il sole sta lentamente scorrendo alle spalle delle Alpi.

panorama notte pizzo dei tre signori

Il Cambio di Piani

Bevendo un tè caldo, ci fermiamo ad ammirare il magico rituale quotidiano del tramonto con un variopinto alternarsi di colori caldi e accesi. Essendo le otto di sera, uno dei gestori del Rifugio Santa Rita si avvicina chiedendoci se volessimo solo cenare o anche pernottare. A tale domanda, sono istintivamente portato a guardare negli occhi la mia compagna e dirle: “Volevi un week end all’insegna dell’avventura? Perché non sfruttare l’occasione?”.

All’unanimità, optiamo per una bella serata in rifugio. Dopo aver cenato, restiamo alcuni istanti incantati a guardare le stelle, l’aria è alquanto fresca quassù, ma la fortuna di poter ammirare un cielo limpido in assenza di inquinamento luminoso è impagabile, vale perfino la sofferenza di un forte torcicollo. Si è fatto tardi ormai, la mattina ci siamo prefissati di non perdere l’alba e i venticinque chilometri di trekking si fanno sentire tutti. Perciò, non ci resta che andare a dormire.

alba dalla cima, Valbiandino

L’Alba di un Nuovo Giorno

L’alba di un nuovo giorno giunge alle porte e il solo pensiero di poter assistere ad un’aurora da un rifugio sul Pizzo dei Tre Signori accende in noi ogni sorta di emozione. Il soave profumo di legno inebria la nostra camera da letto, da una finestrella si intravedono sprazzi di cielo. Le prime chiare e tenui luci del mattino cominciano ad illuminare il paesaggio.

Non c’è tempo, dobbiamo correre prima che il sole sorga. Prendiamo i primi vestiti che ci ritroviamo davanti, li indossiamo velocemente e scappiamo fuori per ammirare il tanto atteso evento. A pochi metri, ci rechiamo su una piccola sporgenza da cui poter avere una più ampia visuale sull’intero scenario di madre natura. Sollevati dall’essere riusciti a guardare l’alba ed eccitati per la nuova giornata d’avventura, torniamo in rifugio per fare una bella colazione e caricarci di energia. 

cima pizzo dei tre signori

Pizzo dei Tre Signori: Si Risale!

Questa mattina il cielo sembra voglia concederci la grazia di restare sereno. Non pensandoci su più di una volta, ci mettiamo in marcia, ma in direzione opposta alla vallata: si ritorna sul Pizzo dei Tre Signori. Imbocchiamo il sentiero che dal Rifugio Santa Rita conduce al Lago di Sasso e, in circa mezz’ora, lo percorriamo interamente. Dal Lago di Sasso, saliamo per la cresta del Pizzo fino a raggiungere per la seconda volta in meno di 24 ore la cima di questa magnifica montagna.

Purtroppo, mentre giungevamo nei pressi della vetta, un tappeto sconfinato di nuvole copre quasi per intero tutta l’area circostante. Avendo ricevuto questa seconda risposta negativa dalle nubi, cambiamo nuovamente itinerario decidendo di attraversare il Pizzo fino alla Bocchetta di Piazzocco a quota 2.252 metri s.l.m.

trekking sulle alpi orobie

Bocchetta di Varrone e Il Rifugio FALC

Alla Bocchetta di Piazzocco siamo attirati dai cartelli e dalle informazioni dettagliatissime. Un sentiero conduce anche alla mitica e incantevole Val D’Inferno e alla sua maestosa diga. Avanziamo verso la Bocchetta di Varrone, ma non prima di aver appuntato sulla nostra bucket list l’escursione dei Sette Laghi. Camminiamo sul sentiero ancora per un po’, fino a quando non raggiungiamo il rinomato Rifugio FALC, a quota 2.120 metri s.l.m., dove ne approfittiamo per assaporare una gustosissima fetta di crostata.

Nel frattempo, conversando con un escursionista, ci viene spiegato che FALC è un acronimo latino che sta per: Ferant Alpes Laetitiam Cordibus, tradotto in italiano: “Portino le Alpi gioia nei Cuori”. Assaporato il dolce e una volta congedati con il nostro interlocutore, ripartiamo per il giro ad anello verso il Rifugio Santa Rita. Attraversando il percorso, è impossibile non perdersi nelle meraviglie paesaggistiche e naturali che si presentano ai nostri occhi. Scenari che fanno brillare gli occhi e riempiono di gioia chiunque si ritrovi ad ammirarli. 

rifugio FALC, camoscio, valbiandino

L’ultimo sforzo nel cuore della Val Biandino

Procediamo sul sentiero ad intervalli di sali e scendi che si susseguono come dune in un antico deserto. Tuttavia, la stanchezza e i chilometri nelle gambe cominciano a farsi sentire sul serio. Oltrepassiamo una vecchia miniera di ferro ormai crollata e ci ritroviamo al punto di partenza: siamo di nuovo al Rifugio Santa Rita.

La nostra avventura sta per terminare, infatti, intraprendiamo l’ultimo tratto che conduce alla Madonna della Neve, nel cuore della Val Biandino. Sullo sfondo, inamovibile, il Pizzo dei Tre Signori domina incontrastato e osserva i nostri passi, come un antico baluardo senza tempo.

Nella nostra discesa, alcuni indistinti suoni acuti ci distraggono dalla nostra impresa, cosa saranno mai? Non appena ci giriamo, ecco il segreto svelato: Una marmotta in piedi su due zampe. Sorridiamo e la osserviamo correre via verso la sua tana fino a scomparire. Infine, giungiamo ad Introbio, il luogo da cui circa 24 ore prima tutto aveva avuto origine. Percorse le ultime due ore di tragitto e superati anche gli ultimi rifugi prima di valle, giungiamo alla nostra auto. 

Abbiamo percorso circa venti chilometri per circa ottocento metri di dislivello in giornata, mentre, calcolando l’intero trekking, abbiamo coperto una distanza totale di circa quarantacinque chilometri per un dislivello pari quasi a tremila metri. Il Pizzo dei Tre Signori, con le sue vallate e i suoi paesaggi incontaminati, ha rubato un pezzo dei nostri cuori e lo consigliamo assolutamente a chiunque abbia voglia di scalarlo. In un futuro non molto distante, perchè no, potremmo anche condurvi lassù in cima.

Ecco l’inizio della nostra escursione sul Pizzo dei Tre Signori
Raianaraya Nature Experience

Pizzo dei Tre Signori – Val D’Inferno: La Conquista della Vetta

Pizzo dei Tre Signori: prima tappa del trekking sulla vetta più alta della Val Gerola che vanta una finestra mozzafiato sulle vallate circostanti.

Autore: Raianaraya Nature Experience

Era un giovedì qualunque d’autunno. Nelle ultime settimane non si era riusciti a fare granché per via di impegni lavorativi. Essendoci stata concessa finalmente una pausa per il fine settimana, io e la mia ragazza scambiavamo idee sul da farsi.

Questo week end doveva essere sfruttato nel migliore dei modi e quando alla mia domanda su che genere di escursione si volesse fare mi fu risposto: “Un giro lungo”, non ci volle molto prima che decidessimo per il famigerato Pizzo dei Tre Signori. Oltretutto, circa un anno fa, avevamo già intrapreso questo trekking in invernale, ma in quella circostanza la neve e il freddo non ci permisero di raggiungere la vetta. Quale migliore occasione, quindi, per conquistare quella cima?

Pizzo dei Tre Signori, Val d'Inferno, leggenda del Lago d'Inferno

La Leggenda del Lago d’Inferno

Nei pressi del Pizzo dei Tre Signori, si narra che alcuni secoli fa un vecchio saggio si rifugiò in una delle grotte della val d’inferno per meditare. Trona, il nome dell’eremita, diventò un simbolo per la comunità del luogo che ammirava e apprezzava il suo operato. Tuttavia, il Diavolo, infastidito dalla fama di quell’uomo, iniziò a recare disagi e a preoccupare tutti i cittadini locali.

Spaventati da tale scompiglio, in molti si presentarono al cospetto del santone per chiedere aiuto. L’essere maligno era inarrestabile e continuava a mietere vittime e distruggere raccolti. Il saggio allora rispose alla chiamata e si diresse verso Pizzo Varrone, luogo in cui si trovava il demonio.

Una violentissima tempesta si scatenò su di loro e il cielo si oscurò quasi come se stesse calando la notte. Avvistato il santone, il Diavolo iniziò a scagliare enormi massi contro di lui, ma nessuno colpì il vecchio. Intanto, l’eremita segnò un masso con l’indice disegnando una croce, in quel momento, l’enorme roccia si spaccò in quattro pezzi e prese forza scivolando verso valle.

Il demone non riuscì a schivare la frana che lo travolse. Il suo corpo fu trascinato fino ai piedi della montagna dove un ampio squarcio nel terreno si aprì. Immediatamente, i torrenti creatisi per la tempesta colmarono quell’ampia voragine dando origine al Lago d’Inferno. Non molto distante, l’accumulo di terra che si era ritratta invece generò il Monte Trona.

Val d'Inferno, Pizzo dei Tre Signori

La Val D’Inferno e il Pizzo dei Tre Signori

La Val d’Inferno, nonostante il suo nome, è un luogo suggestivo che si estende dalla provincia di Bergamo fino ai pendii del Pizzo dei Tre Signori. Quest’ultimo è il rilievo più alto della Val Gerola con un’elevazione di 2.554 metri s.l.m. locato nelle Alpi Orobie in Lombardia. Il Gruppo montuoso dei Tre Signori è situato tra Valtellina, Valsassina e Val Brembana affacciando su una vallata immensa costellata di monti che casualmente si ergono sull’intero territorio.

Tra le caratteristiche principali di questa catena montuosa vi è la sua conformazione rocciosa che presenta alti speroni e aspre sporgenze. A riprova di ciò, il rinomato caminetto offre uno scenario alquanto suggestivo che ripercorre un versante della vetta in questione. Il Pizzo dei Tre Signori, infine, ospita un’ampia fauna locale tra cui lo stambecco, il camoscio, il capriolo, il cervo, la marmotta e il Nibbio.

escursione alpi orobie

Sabato, il giorno è giunto!

Al mattino, come da rituale, in piedi all’alba. I chiari colori del mattino illuminano la nostra stanza. Carichi di energia, iniziamo a preparare gli zaini, ma non prima di mettere su la moka per il caffè. Controlliamo la nostra check list e carichiamo tutta l’attrezzatura in auto. La nostra giornata di trekking sul Pizzo dei Tre Signori può avere inizio. Montiamo in auto e ci avviamo verso Introbio, in provincia di Lecco.

Raggiunta la meta e parcheggiata l’auto, allacciamo gli scarponi, mettiamo su gli zaini e partiamo per la nostra avventura. Decidiamo di imboccare un sentiero che taglia così da non dover allungare fino alla Val Biandino. Il percorso è di circa dieci chilometri tutti in salita e impieghiamo due ore per attraversarlo. Il tracciato, inoltre, si presenta pulito, curato e ben segnalato. Infatti, seguendo le numerose bande bianche e rosse disseminate per tutta la strada, riusciamo agevolmente a destreggiarci sulla nostra via.

Pizzo dei Tre Signori, Lago di Sasso

L’Escursione ha Inizio!

Alle prese con i primi pendii della nostra escursione, un paio di Jeep ci sfilano davanti; per raggiungere la parte finale di questo tratto è possibile farsi scarrozzare da questi fuori strada in modo da risparmiare tempo o evitare spezzoni a piedi.

Noi che abbiamo bandito la comodità dal nostro codice del trekking, incuranti della situazione, abbiamo proseguito camminando, gioendo di ciò che madre natura ha generato per noi. Scelta azzeccata! Poco dopo, infatti, veniamo ripagati con una veduta sull’intera vallata sottostante nei pressi di un monumento ai caduti.

Superato questo luogo commemorativo, avvistiamo il primo rifugio della giornata. Conoscendo però la complessità dell’impresa odierna, proseguiamo ancora fino a raggiungere la fine del primo sentiero. Ai nostri occhi si presenta una cascatella molto suggestiva, mentre, a lato, una strada che finisce in circa centro metri per trasformarsi in un nuovo sentiero da imboccare.

Scolliniamo e intravediamo alcuni rifugi tra i più rinomati dell’intera zona. Alcuni passi avanti e il sipario si apre sull’intera Val Biandino: una vasta vallata che si estende dal paesino da cui siamo partiti, Introbio, fino a raggiungere le pendici del Pizzo dei Tre Signori e le Alpi Orobiche bergamasche.

Rifugio Madonna della Neve, Pizzo dei Tre Signori

Il Rifugio Madonna della Neve

Oramai abbiamo percorso i primi dieci chilometri di escursione, ma la destinazione è ancora lontana. Un cartello ci conferma con grande parsimonia la distanza mancante: “Quattro ore“. In questo momento, sul viso della mia ragazza si manifesta sgomento ed incredulità, ma non appena metabolizza il messaggio iscritto sulle indicazioni del percorso, si infervora un po’ e comincia ad insultarmi. Tutto d’un tratto sembra di essere in una sitcom e la cosa non fa che aumentare l’asticella del divertimento.

Procediamo adagio per la nostra strada e, dopo circa altri quaranta minuti di camminata, raggiungiamo il Rifugio Madonna della Neve. Avendo percorso già un bel tratto, ne approfittiamo per bere un bel caffè e recuperare un po’ di forze. La sosta è comunque piuttosto veloce e ci reimmettiamo dopo neanche una decina di minuti sul sentiero. Adesso si comincia a fare sul serio!

Pizzo dei Tre Signori, Lago di Sasso

Il Lago di Sasso

Il nostro trekking si fa sempre più duro, le salite ai nostri occhi sembrano più sfiancanti e ripide di quanto non lo siano. Attraversiamo paesaggi pittoreschi addentrandoci nell’intera valle. Nonostante la fatica, è impossibile non perdersi in questi angoli di paradiso naturali. Lungo il sentiero, incontriamo piccole case in sasso, probabilmente abbandonate da molto tempo. Lo stato delle costruzioni e l’azione del tempo su di esse hanno reso questo vecchio villaggio disabitato un luogo silenzioso in cui la natura lentamente sta riconquistando i propri spazi.

Dopo circa quarantacinque minuti di salita, arriviamo alla nostra prima meta: il Lago di Sasso, a quota 2.000 metri s.l.m. Il sole splende allo zenit, il caldo inizia a sentirsi così come la stanchezza. Consapevoli di ciò, decidiamo di fermarci e procedere con la nostra pausa pranzo. Sono circa le due del pomeriggio, consumiamo il nostro pasto mentre dinanzi a noi si eleva imponente la nostra vetta: Il Pizzo dei Tre Signori.

Pizzo dei Tre Signori, Lago di Sasso

La Via Smarrita

Terminata la nostra pausa, riponiamo accuratamente tutti gli scarti del pranzo nei nostri zaini e ci accertiamo di non aver lasciato nessun residuo a terra; La natura è la nostra casa, lasciare che venga inquinata o contaminata è come avvelenare la nostra stessa dimora. Adesso, siamo nuovamente alla ricerca della cima. Sondiamo per alcuni minuti il campo, ma non riusciamo a scovare nessuna traccia del sentiero: né cartelli, né segni rossi. Non avremo mica perso la strada?

Eppure, l’indole esploratrice che è in noi ci dice di proseguire per un sentiero che costeggia il vicino lago di sasso. Il percorso è piuttosto faticoso e in alcuni tratti diventa ripido da far paura, ma grazie alla presenza di una catena riusciamo a tenere un passo che seppur lento ci permette di terminare questa impresa. Ancora niente, siamo all’uscita di questo faticosissimo sentiero, ma non scorgiamo nessuna indicazione. Analizzando bene le alternative e valutando bene i rischi, improvvisiamo salendo su per un canale in prossimità del sentiero appena percorso.

Missione Compiuta – Il Pizzo dei Tre Signori

In lontananza, un passaggio attraversa la montagna e a tratti riuscivamo a vederlo: era quello il nostro obiettivo. Scalando le rocce ecco apparire il tracciato segnato, siamo sulla strada giusta! Da questo momento, passiamo da una durissima salita ad una vera e propria arrampicata. Dalla parte opposta, veniamo catturati con lo sguardo dalla visione di un cucciolo di stambecco saltellante in compagnia di quella che verosimilmente potrebbe essere stata sua madre. A tentoni e con difficoltà ci tiriamo su verso la cima e incontriamo così l’ultima indicazione: “Cinque minuti”.

Il cielo si stava coprendo completamente oscurando tutto il paesaggio, tuttavia, questo non comprometteva la nostra sfida. Un sorriso si allarga sul volto di entrambi e riunita l’energia per gli ultimi sforzi, ben saldi alla catena, ci tiriamo su fino in vetta. Ed eccoci, Il Pizzo dei Tre Signori! Siamo a quota 2.554 metri s.l.m. Sulle nostre teste un mare di nuvole copre qualunque spiraglio che possa permettere di ammirare l’incredibile vallata. Non avremo avuto la miglior visuale, ma abbiamo ottenuto qualcosa di più: la vetta più alta della Val Gerola.

La prossima settimana, non perdete la seconda parte del Pizzo dei Tre Signori!
Raianaraya Nature Experience

Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è un’area naturalistica nel centro Italia che ospita alcune delle specie faunistiche rare d’Europa e che offre panorami tra i più affascinanti dei massicci montuosi appenninici

Autore: Raianaraya Nature Experience

Nell’area che circoscrive le regioni centrali d’Italia, si estendono conformazioni montuose che ancora oggi conservano quasi intatte le loro meraviglie paesaggistiche. Alcune delle zone più selvagge si concentrano in Abruzzo. Infatti, in questa regione, si ergono alcune tra le cime più alte della catena Appenninica che dominano incontrastate sull’intero territorio circostante. Il mitico Corno Grande, o meglio conosciuto come Gran Sasso d’Abruzzo, con i suoi 2.912 m s.l.m. non teme rivali e con maestosità si affaccia su entrambe le sponde della penisola.

Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise

I Parchi Naturalistici

In questa sconfinata terra incontaminata non mancano i Parchi naturalistici che caratterizzano un’ampia parte di queste regioni italiane, consentendogli di conservare specie floreali e faunistiche di ogni genere. Tra le maggiori aree naturali vi sono il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della laga, Il Parco Nazionale della Majella, e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Ognuna di queste aree presenta delle caratteristiche uniche assolutamente da vivere almeno una volta nella vita.

Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise

Il Parco Nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise

Tra le aree montuose più frequentate sia da escursionisti sia da amatori, negli appennini centrali emerge il famoso Parco Nazionale D’Abruzzo. Un parco naturalistico tra i più antichi d’Italia, infatti, la sua istituzione è databile al lontano 1923. Una terra sterminata che affonda le sue radici in ben tre regioni del bel paese: Abruzzo, Lazio e Molise. Inoltre, è il parco che ospita alcune tra le specie faunistiche più rare, sia in Italia sia in Europa, come il lupo, l’orso bruno marsicano e il camoscio d’Abruzzo.

Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise

Conformazione dei Complessi Montuosi

I Rilievi più imponenti sono il Monte Marsicano, la Montagna Grande, il Monte Meta, il Monte Petroso e il Monte Greco. Conformazioni rocciose originatesi milioni di anni fa a seguito dell’ancora presente azione tettonica, fungendo inizialmente da immense barriere coralline e mutando poi in catene montuose, ma lasciando evidenti i segni del loro passato. Infatti, coralli e fossili marini, tutt’oggi, sono visibili in buona parte di queste zone appenniniche.

Scanno

Borghi del Parco Nazionale

Nel bel mezzo del parco nazionale d’Abruzzo si possono visitare alcuni borghi davvero suggestivi. Tra i più affascinanti c’è Scanno, un centro storico fitto di stradine e vicoletti di origine medievale con veduta sul lago di Scanno e sulla Riserva dei Sagittari. Non da meno sono anche Pescasseroli, punto nevralgico del parco; Barrea con il suo favoloso castello vista lago, Rivisondoli, Pescocostanzo, Roccaraso e Civitella Alfedena.

Camosciara, Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise

Riserva Naturale della Camosciara

Un luogo unico ed incantevole, deve il suo nome alla specie che affolla questa area: il camoscio d’Abruzzo. Le caratteristiche che la rendono così speciale sono sicuramente dovute alle sue conformazioni rocciose di dolomia bianca e grigia che somigliano a quelle dolomitiche. Inoltre, i rilievi si ergono eterogeneamente dando vita a guglie e pinnacoli che si incontrano con le creste creando paesaggi mozzafiato. L’intero territorio della Camosciara è protetto e delimitato, quindi, non è possibile accedervi in auto. Per questa ragione, in questa zona è davvero possibile immergersi completamente nel verde ed abbandonarsi all’aria fresca e pulita della natura.

Val Fondillo, Parco Nazionale d'Abruzzo

La Val Fondillo

La Val Fondillo è una delle località turistiche più importanti del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. È un luogo incontaminato completamente immerso nel verde, caratterizzato da foreste, boschi e torrenti incantevoli. Inoltre, la Val Fondillo è una meta escursionistica molto ambita. Infatti, grazie alla presenza di numerosi sentieri che si adattano ad ogni genere di esigenza, sia amatori sia professionisti intraprendono questi percorsi. I primi possono approfittare di passeggiate nella natura uniche e nel silenzio assoluto. Mentre, i più esperti possono pensare di raggiungere le vette dominanti del parco: il Monte Amaro (1.862 m), il Monte Dubbio (1.702 m), collegati fra loro dalla grande Serra delle Gravare (1.960 m).
Articolo pubblicato per AgendaViaggi
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