Il Bivacco sul Monte Velino

bivacco in tenda sul monte velino, montagna abruzzo

La seconda parte dell’escursione sul Monte Velino. Il bivacco in tenda sotto le stelle e il ritorno su una via ancora sconosciuta

Autore: Danilo D’Onofrio

Eravamo ormai in vista del luogo che avevo memorizzato, ai bordi di una dolina erbosa e quasi sul bordo che precipitava nell’anfiteatro, alla testata della Val di Teve, proprio ai piedi del Velino. Sulla destra, 50 metri più in alto, si ergeva il cocuzzolo di Monte Costognillo, come fosse la sentinella del Velino.

Il posto che avevo scelto mentalmente per piazzare la tendina si è poi rivelato uno dei migliori in assoluto tra le mie tante esperienze; era perfetto per ubicazione, tipo di terreno, esposizione e panorama. In più aveva nelle vicinanze dei massi comodi per potervi stendere gli indumenti zuppi di sudore, gli zaini svuotati del contenuto o per essere usati come provvidenziali sgabelli protesi verso un paesaggio da cui era difficile distogliere l’attenzione.  

Le ultime luci del tramonto

Il sole scendeva rapidamente e pensammo bene di sistemare il campo base, operazione che richiedeva non più di dieci minuti, svestirci degli indumenti ormai bagnati di sudore, infilare addosso quelli asciutti e puliti e finalmente congratularci del tutto godendoci la meraviglia del momento, dispersi felicemente in quella immensità. I raggi ormai bassi del sole creavano quella tonalità calda che dà quel tocco in più ad ogni cosa baciata da essi. Peccato che proprio verso ovest, giù in basso verso il Tirreno, il gran caldo del giorno, creava nebbie e foschie che smorzavano un tramonto che poteva essere ancora più perfetto.

La temperatura scendeva rapidamente ma probabilmente erano anche fame e stanchezza che davano il loro contributo affinché l’escursione termica sembrasse più accentuata. Man mano che la temperatura si percepiva più bassa ci vestimmo con altri strati, fino ad indossare la giacca a vento e infilare guanti e cappello. Così riuscimmo a passare ancora del tempo fuori e goderci le prime stelle, stuzzicando qualcosa da mangiare e stappando una bottiglia di vino.

Quasi non osammo parlare per non rompere l’incanto del silenzio perfetto, comunque si parlava a bassa voce come sempre abbiamo fatto in montagna, al cospetto della natura, come crediamo debba sempre essere, invece di inorridire quando si incontrano escursionisti schiamazzanti urlare o cantare. Ultimamente incontrai un ragazzo con tanto di radio ad alto volume in spalla! Non vorrei sembrare il solito vecchio brontolone che inorridisce per niente, che critica tutti, finto paladino del buon senso. Credo che il mio dissenso verso certi atteggiamenti sia lo stesso di tanti che del buon senso ne fanno il giusto condimento nella vita in generale.

Penso che soprattutto in montagna, nella “casa” della natura, ci si debba comportare come si farebbe a casa di altri. Oserei dire che il mio approccio alla montagna è sempre stato in punta di piedi, con un filo di voce, ossequioso ed eternamente grato per ciò che la natura mi ha permesso di essere, silenziosamente.

cima Monte Velino

Il bivacco

Decidemmo di ritirarci nell’accogliente tendina, infilare i piedi nel sacco piuma, accendere il fornellino per una zuppa calda mentre l’altro preparava un opportuno aperitivo. Lasciammo aperti i rispettivi lati della tenda, poiché l’aria era mite, il vento quasi nullo e la temperatura all’interno saliva velocemente al sibilo dei due fuochi accesi, uno per la cucina e l’altro per far luce.

Una speciale bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo per vari brindisi e risate sommesse al ricordo di tante avventure passate. Eravamo ancora lì, sempre con lo stesso spirito, anzi, una voglia maggiore di tornare più spesso a quelle esperienze fin quando forza e salute l’avrebbero permesso.

L’assoluta certezza di essere soli nella notte come tante altre volte, di non scorgere altri lumi in lontananza, alcuna voce se non quella della notte. Un allocco lontano nel bosco, qualche sasso giù per le pietraie e il leggero soffio del vento per meglio godere della volta stellata. Tra una chiacchiera, una risata, un boccone ed un sorso di vino, scostavamo un lembo della tenda per affacciare la testa fuori e avvertire la brezza fresca sul viso ormai piacevolmente paonazzo. 

La nostra cena prese i connotati già noti da cenone. Non mancava di nulla, stazza e peso degli zaini potevano testimoniarlo. Ma sapevamo che la notte sarebbe stata lunga in quel periodo e avere la possibilità di renderla piacevole in quel modo, avrebbe dato risalto e maggior peso ai ricordi.

Dopo alcune ore, restava soltanto da innaffiare il tutto con un po’ di genziana, infilammo di nuovo le scarpe e qualche indumento ed uscimmo di nuovo fuori dalla tenda per sgranchire le gambe prima di infilarci definitivamente nei sacchi. Testa all’insù, al solo lume delle stelle e dei bagliori del fondo valle, si dava pascolo alla leggera ebbrezza dell’alcool e delle pance soddisfatte.

Rientrammo definitivamente e poco dopo cademmo in un sonno ristoratore. Mi svegliai nella notte e notai, attraverso il telo della tenda, il flebile bagliore della luna appena sorta che ci accompagnò per tutto il resto della notte. 

tenda, campeggio e bivacco sul monte velino, abruzzo

Il risveglio e il Monte Costognillo

Le prime luci del nuovo giorno erano la scusa per tornare seduti nella tenda, affacciare la testa fuori, accendere di nuovo il fornellino e godere dell’alba con un tè caldo tra le mani, facendo colazione. I primi raggi colpirono la vetta sommitale del Velino poco distante e, dopo poco, anche la nostra tenda: segnale che invitava ad uscire, procedere con lo smantellamento del campo e sistemare tutto negli zaini ormai alleggeriti.

Numerosi scatti avrebbero immortalato i tanti momenti particolari delle due giornate e avrebbero accompagnato il racconto delle stesse; ma avrei conservato quei ricordi nella mia memoria interna oltre che su un microcircuito elettronico!

In breve toccammo la cima del vicino Monte Costognillo, alla piacevole luce del sole dai raggi sempre più caldi. Proseguimmo per la cima più alta del gruppo e la terza degli Appennini, leggermente macchiata di neve sul versante settentrionale. In breve arrivammo in cima; la temperatura già permetteva di togliersi le giacche; credo fossero le 8:30 e il clima era già così confortevole che ci concedemmo almeno una mezz’ora in cima.

Giù a valle il solito spettacolo di quel periodo: un mare di nebbia in basso a coprire il piano e il cielo azzurro terso che permetteva di contare una per una tutte le montagne intorno, fino alla Majella lontana verso casa nostra. Edmondo era estasiato e al settimo cielo, felice quanto me di vivere quella bellezza, assorbirla e rimandarla con l’espressione eloquente che arriva dal fondo dell’anima.

cima velino, croce vetta, black and white, fotografia velino

La discesa

Percorremmo a ritroso quel tratto di vetta e riprendemmo il sentiero che ci avrebbe portati su Pizzo Cafornia poco distante. Dopo meno di un’ora fotografavo la statuetta della Madonna sulla sua vetta che si stagliava contro il bianco delle nebbie di fondovalle e ci preparammo alle lunga discesa che, in qualche modo, ci avrebbe condotti al punto di partenza. Questa era una parte che conoscevo soltanto su carta, mai fatta prima.

La discesa era abbastanza ripida nella prima parte e con un fondo sdrucciolevole che si avvertiva sulle ginocchia per via degli zaini, comunque sempre abbastanza pesanti. Superata con accortezza quella prima parte, la pietraia lasciò terreno ad un pendio ancora ripido ma più erboso e che poteva nascondere insidie ad ogni passo.

Cominciammo ad aggirare sulla destra la montagna stessa da cui scendevamo per passare ai piedi dei pinnacoli di roccia e degli stretti canalini detritici che scendevano dalle cime su cui esultavamo qualche ora prima. Il terreno non era dei più agevoli, parecchi cervi fuggivano spaventati al nostro passaggio mentre io cercavo, pensando di poter già scorgere da lontano l’arrivo di quel ritorno che ormai pareva più lungo dell’andata.

Qui i commenti del mio amico: “Mi pareva strano che fosse tutto così semplice!! “, ben conoscendo la mia spiccata attitudine nel dare un tocco di “avventura” in più ad un banale ritorno alla civiltà. Ma ormai non avevamo altra preoccupazione se non quella di camminare su un terreno disagevole, percorrendo piste di animali e non di umani, ma consapevoli di ritrovare quanto prima qualche sentiero che ci portasse al punto di partenza. E così fu!

bivacco monte velino, abruzzo

Dopo qualche giorno le autorità proclamarono un nuovo stato di emergenza per cui furono preclusi di nuovo spostamenti, se non per reali e comprovate necessità; queste ultime purtroppo non prevedevano le mie personali. Ma non potei che concordare come la situazione fosse di nuovo drammatica ed attenermi alle regole, come ho sempre fatto.

A maggior ragione, quell’ ennesima ed ultima avventura alle porte dell’inverno, diede un valore maggiore al tutto, come se avessi fiutato l’imminente lockdown e ne avessi approfittato per un’ultima boccata d’aria e di libertà. 

Nelle settimane successive, e di tanto in tanto ancora oggi, guardavo le foto di quelle giornate speciali. La mia tendina ancora una volta lì dove il cuore mi aveva suggerito, il cielo stellato per tetto e le uniche pareti che vorrei sempre avere a circoscrivere il mio essere irrequieto: la natura selvaggia!

Nel prossimo articolo scoprirai le meravigliose Alpi dolomitiche rese ancora più magiche dal tocco della neve.
Raianaraya Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

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