Due giorni sulla Majella: da Capo Le Macchie a Grotta Callarelli

Autore: Danilo D’Onofrio

Mi trovavo seduto all’ombra, fuori dal bar del paese e, sorseggiando una birra fresca, mi beavo alla vista del panorama che avevo dinanzi. Potevo chiudere gli occhi e catapultarmi in quei posti calpestati fino a poche ore prima, assaporando ancora quelle sensazioni uniche.

Quando un sogno diventa realtà suscita un misto di emozione, eccitazione, gioia ed anche commozione; quantomeno questo è ciò che accade al sottoscritto in talune circostanze. Mi commuovo e mi vengono lacrime di felicità, ma devo essere da solo, altrimenti non funziona!

E da solo avevo deciso di compiere quel giro, da solo l’avevo ideato e da solo alla fine l’ho realizzato e portato a termine. L’idea originale era quella di percorrere un lungo itinerario in una delle zone più remote e meno frequentate della Majella, almeno nella prima parte, nella salita del primo giorno. Il secondo giorno avrei sicuramente incontrato escursionisti toccando zone più battute dal turismo, per chiudere infine un anello e tornare al punto di partenza: Fara San Martino.

camoscio, Majella, Abruzzo

Lo zaino, che rappresentava una buona ed “invadente” compagnia, era caricato nella minuzia dei dettagli: che nulla mancasse ai due giorni di autonomia, visto anche l’isolamento della zona. Il tragitto di andata prevedeva che toccassi dei punti in cui potermi rifornire d’acqua anche per il giorno successivo, in cui invece non ne avrei trovata fin quasi alla fine del percorso. Anche questo era stato studiato accuratamente, così da non caricare ulteriormente lo zaino e per meglio affrontare il non trascurabile dislivello in salita.

Erano i primi di giugno e il clima era caldo e afoso. Mi lasciai l’auto alle spalle, a Capo Le Macchie, iniziando l’avventura verso le dieci di mattina. Pochi passi e già grondavo di sudore mentre incedevo determinato ma lento sotto il peso che gravava sulle spalle, sulle gambe e sulla schiena. Non avevo fretta, avevo abbozzato una tabella di marcia che comprendesse anche gli eventuali temporali pomeridiani previsti dal meteo e da cui non volevo farmi sorprendere prima di aver raggiunto una zona con parecchi sgrottamenti naturali.

Arrivai a Colle Bandiera dopo circa un’ora; l’acqua del fontanile mi aspettava fresca per darmi sollievo, una sorta di rifornimento di energie per poter proseguire. Lo spettacolo che mi si presentava davanti era quello che conoscevo da anni e di cui mai mi sarei disinnamorato!

Majella, Abruzzo

Il sentiero in quel punto costeggiava dall’alto la zona dei famosi pastifici, quella lunga ferita naturale, quel taglio sinuoso alla quota di circa 500 metri s.l.m. che si insinuava fin sulle cime più alte del gruppo montuoso. La parte bassa di questa zona prende il nome di Valle del Fossato, mentre la parte centrale è denominata Val Serviera, che termina come Valle del Forcone.

A Colle Bandiera si è tentati di affacciarsi nel profondo fossato di cui non si scorge la fine. Spostando lo sguardo, si segue il profilo della valle che separa dal crinale del versante da raggiungere. Girando lo sguardo in senso orario, si scorgono in basso grotte naturali, un tempo occupate dai pastori della zona, dei veri e propri funamboli transumanti.

Andando oltre con lo sguardo potevo scorgere il mio itinerario o intuirne la zona. Più a destra si intravedevano i pendii che scendono da Cima Macirenelle e un sentiero per poterla raggiungere. Lì il percorso attraversa alcune zone ricche di grotte abbandonate, frequentate d’estate da muli e cavalli o da compagni d’avventura in serate davanti ad un falò sotto le stelle.

Lo spettacolo è impressionante e lascia attoniti per la sua grandiosità. Ero immerso in un piacevole torpore, preso da un principio di meditazione profonda e da un dialogo silenzioso con la montagna e con la Dea che la rappresentava. Ma dovetti svegliarmi da quelle piacevoli sensazioni, l’obiettivo mi riportava al presente e il peso dello zaino me lo ricordava.

Abruzzo, Majella

Arrivai ad un bivio di sentieri e lasciai sulla destra quello che portava su Cima Macirenelle per andare oltre e seguire le indicazioni per Grotta dei Callarelli. Il sentiero si alzava gradualmente sulla destra per seguire il profilo della valle ed arrivare a nascondersi all’ombra della faggeta. Le prime nuvole davano sollievo, ma lasciavano presagire un probabile cambio di meteo: “Speriamo di no”, pensavo tra me e me; ma ero comunque pronto anche a quell’evenienza ed ero in linea con la tabella di marcia.

Fotocamera in mano, cercavo di cogliere quegli attimi in cui venivo rapito da qualche particolare; e devo ammettere che è una cosa che mi accade spesso in montagna. La natura ha sempre avuto una forte influenza nella mia vita, sin da bambino, e ancora oggi continuo ad estraniarmi e lasciarmi attrarre da essa senza voler far nulla se non seguire quel canto delle sirene.

Penso che lasciarsi permeare da certe sensazioni sia il vero segreto per sopportare la fatica, il caldo, il freddo e i tanti disagi che la montagna potrebbe presentare.

Immerso in questi pensieri e dopo circa quattro ore dalla partenza, mi ritrovai a Grotta Callarelli. Qui mi concessi una meritata sosta approfittando della panca messa a corredo fuori della grotta che, come altre ex grotte pastorali, fu riadattata a rifugio occasionale per escursionisti. Nei pressi della grotta una sorgente di acqua sgorga direttamente dalla roccia e permette l’ultimo rifornimento della giornata.

Grotta, Majella

Ancora oggi, a mesi di distanza da quei giorni, resta vivido il ricordo di alcuni particolari che fecero da sottofondo a tutta l’escursione. Per esempio è stato curioso constatare di aver visto più camosci che esseri umani. Infatti le poche persone furono incontrate nella primissima parte del tragitto, fino a Colle Bandiera, poi più nulla. Eravamo io, i camosci e Maja ovviamente, una presenza costante.

Il senso di solitudine che avvertivo era stato esattamente come me l’aspettavo. Lo avevo cercato e trovato, ed era piacevole, una condizione di perfetta solitudine che oggi è difficile provare:  a chi vuole provare o a chi la conosce e desidera viverla ogni volta possibile le nostre montagne danno questa possibilità.

Ciò non deve essere visto come misantropia, asocialità o come una forma di eremitaggio; ho imparato che vivere certe esperienze in solitudine significa avere capacità di introspezione, anche accusatoria e non per forza accondiscendente, visto che non esiste controparte.

Vagavo con la mente tra i meandri della mia vita e in quelli dell’ambiente costellato di grotte ed anfratti. Mai distratto, i sensi sempre all’erta, lo sguardo che anticipava i miei passi per non sorprendere qualche vipera dormiente mimetizzata in quel disordine di pietre e pini mughi.

Con queste riflessioni si conclude la prima parte di questo itinerario nel cuore della Majella. La prossima settimana, un nuovo capitolo.
Raianaraya – Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

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