Due giorni sulla Majella: sulla via del ritorno

escursione di due giorni sulla majella in abruzzo

Escursione sulla Majella di due giorni, un viaggio nell’Abruzzo selvaggia e incontaminata

Autore: Danilo D’Onofrio

Alle 4 del mattino, alla luce della lampada frontale, mi incamminai per raggiungere Monte Acquaviva, la cui sagoma era proprio di fronte a me, sullo stesso crinale dove passai la notte. Dovetti abituarmi al freddo ora pungente ma la salita che mi avrebbe condotto sulla cima permise di scaldarmi velocemente, nonostante una brezza tesa mi costringesse ad infilare giacca e guanti come fosse inverno.

Mi trovavo proprio sul pianoro sommitale dove la pendenza era ormai quasi nulla; camminavo su quel pavimento di sassi piccoli e piatti, levigati dal vento e dal ghiaccio e su qualche ciuffo di erba rinsecchita e verdi cuscinetti di silene. Intravedevo l’enorme croce che indicava la vetta poco distante quando lo spettacolo dell’aurora a est iniziò a cedere la tavolozza di colori ai primi raggi del sole. Questo era il miracolo di ogni giorno, uno spettacolo di cui mai avrei fatto a meno. L’enorme sfera rossa faceva capolino dietro la linea dell’orizzonte, inviando i primi raggi sulle cime più elevate e riflettendo il proprio colore sulla superficie del mare.

Lo stesso spettacolo di sempre e l’animo mai pago di quella meraviglia. Mi fermai in contemplazione, estraniato da tutto, intontito di emozioni, felice fino alla commozione. La sfera incandescente si alzava rapidamente e tutto lo scenario dormiente cambiò volto, la mia ombra si allungava verso ovest e, man mano che il sole prendeva quota, si accorciava dalla sua sorgente. Ero alla base della croce di vetta quando i primi raggi iniziavano ad insinuarsi tra le sue maglie metalliche e l’ombra della croce stessa si stagliava sul terreno come ad indicare la via da seguire.

Majella Abruzzo

Incontrai i primi esseri umani seduti ed imbacuccati a godersi l’alba in un ricovero improvvisato fatto di sassi. Qualche foto, qualche scambio di parole e di saluti e via. Dovevo proseguire, sfruttare il fresco del mattino per risparmiare energie; valutando che la via del ritorno sarebbe potuta essere più lunga dell’andata. 

Scesi velocemente fino alla Sella di Acquaviva dribblando i grandi massi che scendevano su quel versante, ancora con la giacca e guanti infilati a protezione contro il venticello fresco del mattino.

Presi la direzione per Cima Murelle e, prima di iniziare la cresta aerea che mi avrebbe condotto in vetta, attraversai una larga lingua di neve ben battuta che proseguiva in basso verso la Valle del Forcone, la stessa che il giorno prima sfiorai all’altra sua estremità, giù a Grotta dei Callarelli.

I camosci, sorpresi dal mio passaggio, si esibivano nella loro arte migliore, quella del funambolismo, e saltellavano pericolosamente e vertiginosamente da una guglia all’altra, come sospesi nel vuoto.

Tornai nell’isolamento che mi aveva accompagnato fino a quel punto, interrotto soltanto dalla parentesi sul Monte Acquaviva. Arrivai a Cima Murelle immortalandomi in un autoscatto con il mare come sfondo.

Abruzzo Majella

Il caldo iniziava a farsi sentire e decisi di cambiare abbigliamento visto che avrei perso rapidamente quota scendendo dal versante est delle Murelle fino a raggiungere il valico di Carozza a quota 2000 metri circa.

La quota scendeva mentre la stanchezza, il caldo e la sete salivano gradualmente. Dovetti centellinare la scorta d’acqua; lo zaino non sarebbe dovuto essere così pesante, ma evidentemente la fatica accumulata, il sonno volutamente perso ed il caldo crescente producevano un effetto contrario.

Pensavo: “Ecco, in questo sono un po’ masochista”; come se adorassi un pochino di sofferenza per meglio ricordare quei momenti in futuro o per dare un aspetto ancora più goliardico al tutto. Figuriamoci, proprio io che raramente condivido le mie passioni, e se lo faccio, è solo con pochi intimi. Proprio io che sono fresco di social network e che mai avrei pensato che un giorno questi ricordi potessero essere letti da qualcuno. Ma devo tornare al valico di Carozza, lì dove mi portano di nuovo i ricordi, e ripercorrere quei passi che mi avrebbero condotto alla fine dell’esperienza.

La discesa dal versante est delle Murelle fu entusiasmante, in perenne compagnia dei camosci che da quelle parti sono molto numerosi grazie al traffico escursionistico meno intenso.

Toccato il valico di Carozza, imboccai il traverso che mi avrebbe condotto nei pressi del rifugio Martellese, probabilmente la struttura della Majella che più volte mi ha ospitato, specie nelle notti d’inverno. In qualche occasione vi passai anche il Capodanno; l’ho sempre preferito per la sua posizione panoramica, forse anche perché piccolino e quasi intimo, non molto frequentato d’inverno e con la possibilità di accendere il fuoco per via della scorta di legna quasi sempre presente.

C’erano degli escursionisti nei pressi del rifugio e io non avevo né tempo né motivo di arrivarvi. Infatti ricominciai l’ennesima ed ultima salita verso le creste del Martellese, infilandomi nel corridoio di pini mughi che mi avrebbe condotto su Cima Forcone. In seguito avrei potuto ammirare i bellissimi affacci sul versante nord dell’Acquaviva, la sottostante Valle del Forcone e avrei potuto rivedere buona parte dell’ultimo tratto del percorso fatto il giorno prima.

Monte Acquaviva Majella, Abruzzo

Quel tratto di cresta che stavo percorrendo era un vero dedalo tra le barriere di pino mugo, tra sali-scendi, balconate panoramiche ed isolamento di nuovo totale. Opportuni omini di pietra permettevano di non sbagliare, ma bisognava comunque procedere con cautela ed attenzione per cercare di non smarrire la retta via.

Tornai in una fattispecie di civiltà soltanto dopo essere arrivato alla fine di quella cresta selvaggia, deserta e tormentata; dove un cartello metallico indicava le Macirenelle e l’arrivo del sentiero che saliva da Colle Bandiera. Iniziai ad avvertire i primi vocii e le prime presenze umane; qualche innocua nuvoletta iniziava a volteggiare sulle cime ormai lasciate di nuovo alla loro austera immensità.

Caldo, stanchezza, fame e sete passavano in secondo piano per via dell’euforia che spazzava via tutto. Passo dopo passo, in quella discesa ormai quasi priva di interesse, mi cullavo nel dolce ed eccitante ricordo di quel sogno ormai realizzato, in ogni singolo momento, particolare, sguardo e panorama.

Contavo i sassi calpestati su quella montagna che mi aveva stregato fin dall’infanzia, riportavo alla mente quelle tavolozze di fiori alle quali avevo prestato particolare attenzione per non calpestarne neanche uno. Ricordavo la destrezza dei camosci, quel tramonto sorseggiando un bicchiere di vino e l’aurora spettacolare col tè caldo tra le mani.

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Sapevo che tutta l’esperienza si sarebbe fossilizzata nel mio cuore; esattamente come il mare primordiale, che aveva lasciato le sue testimonianze impresse sulla roccia della nostra giovane terra.

Mi trovavo nel punto che ventiquattro ore prima mi vedeva quasi all’inizio di quella esperienza indimenticabile; sorseggiavo acqua fresca nei pressi di Colle Bandiera con lo sguardo sempre rivolto verso quella direzione. Come l’ago della bussola che punta verso il nord, anche il mio era magnetismo e mi dicevo che sarei tornato ancora e ancora, attratto da qualcosa di cui mai avrei fatto a meno. Guardai tanto quel panorama, ora meno misterioso, prima di iniziare l’ultima discesa verso il punto di partenza. Guardai così tanto che tutta l’immagine iniziò ad essere sfocata. Mi accorsi allora che una lacrima distorceva la realtà, ma questa volta per la felicità.       

La conclusione di un’escursione indimenticabile in uno dei luoghi più selvaggi e unici d’Italia. Ecco l’inizio di questa avventura: Due giorni sulla Majella.
Raianaraya Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

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