Pastori: i custodi della montagna

Autore: Danilo D’Onofrio

Ora che non ci sono più, ne avvertiamo tristemente l’assenza. Erano e resteranno sempre loro i veri custodi della Montagna Madre: i pastori. D’estate vagavano sparpagliati su tutta la Majella con le loro greggi, lasciavano i paesi risalendo lentamente le vallate fin nei punti più alti selvaggi per passarvi circa tre mesi, governando le pecore affinché brucassero lì dove dovevano e non dove esse volevano.  

Essi abitavano nelle loro residenze estive, innumerevoli grotte naturali che costellavano i versanti della Majella ad alte quote; erano attrezzate per essere occupate dignitosamente nei mesi caldi, così come avveniva da secoli e secoli. Il versante orientale era quello che orograficamente più si prestava alla loro antica attività, sia per la conformazione naturale del territorio sia per l’esposizione soleggiata.

Majella Abruzzo

I pastori facevano in modo che nulla mancasse alle loro poche e indispensabili esigenze, che fosse per lavoro o anche per riposo; riuscivano con efficace e concreta maestria e rendere quelle grotte quasi confortevoli. Esse erano efficientemente completate per affrontare il tempo avverso che nessuna estate poteva scongiurare su quella montagna, dove il meteo aveva previsioni tutte personali e dove neanche una nevicata estemporanea era esclusa.

Era scontato percorrere sentieri in estate ed imbattersi improvvisamente in greggi di pecore belanti e pastori che spesso urlavano per radunarle. Esse creavano corridoi naturali tra quegli arbusti di pino mugo spesso impenetrabili che, senza di loro, tornano ora a compattarsi in barriere insuperabili. Senza la loro presenza, senza più quell’odore forte impresso sulla roccia, quelle voci e quei versi portati dal vento, la Majella pare più povera.

Siamo stati testimoni di un’attività che ha segnato la cultura del nostro territorio per millenni e ora, proprio nell’era del “tutto possibile”, vediamo cancellati capitoli importanti della nostra storia e delle nostre tradizioni.

Ogni grotta della Majella ha una storia, un nome identificativo; ogni masso posto sull’altro ha significato grandi gesta di gente rozza, forte, ignorante ma gentile. Quando ora infiliamo curiosi la testa in una di quelle che erano per i pastori dimora, chiudendo gli occhi, possiamo ancor avvertirne l’essenza.

I loro ricoveri erano semplici, architettura presa in prestito dalla natura stessa del luogo e completata secondo le esigenze; tutto il materiale che poteva servire era ricavato da quello che avevano a disposizione in loco. Dovevano trovare conforto per essi stessi e un ricovero vicino per il gregge che permettesse le diverse fasi di gravidanza delle femmine, mungitura e, non per ultima, la difesa dagli attacchi dei lupi.

Percorrendo gli innumerevoli sentieri che risalgono la Majella dal versante orientale, si possono osservare le migliaia di cavità naturali che per secoli hanno ospitato i pastori e le loro greggi; qualcuno ha avuto la pazienza, e ancor di più la passione, di censirle. Alcune di esse sono state riadattate a piccoli rifugi-ricoveri, comode per essere sfruttate in caso di maltempo o per passarvi una notte quando ci si cimenta in traversate nei luoghi più improbabili, sconosciuti e selvaggi della Majella. Questi sono luoghi lontani dagli itinerari più battuti e, in quanto all’aspetto selvatico, questo gruppo montuoso forse non ha eguali.

Majella- Tholos

Non abbiamo altra testimonianza della loro attività millenaria se non quella che noi stessi possiamo ricordare, se non quella scritta silenziosamente nella visione di quelle grotte, se non quella incisa da loro stessi su massi erranti. I più istruiti riuscivano a riportare almeno i nomi di loro stessi e quello del paese natio, una croce come simbolo della loro fede e qualche frase nostalgica.

L’altro versante della Majella invece è maggiormente ricco di costruzioni in pietra denominate Tholos, parecchi ormai distrutti ma tanti ancora stoicamente in piedi, sentinelle della Valpescara.  I Tholos sono veri e propri capolavori di architettura rurale-pastorale, assolutamente a secco, dove la giusta posa della materia prima permetteva ai pastori di trovarvi un riparo sicuro anche dai temporali. In alcuni casi venivano eretti veri e propri complessi agro-pastorali, costituiti da più Tholos e collegati tra loro da corridoi e recinti sempre in pietra. 

Personalmente ho un vivido ricordo di un incontro in particolare tra i tanti in cui ci si poteva rirovare; un pastore all’epoca già settantenne, basso e muscoloso, asciutto, arzillo e divertente, la pelle temprata dagli elementi a cui era sottoposto da una vita, la mano sproporzionatamente grande e callosa. Si affacciava tra i mughi e chiamava i passanti cercando di vendere i suoi prodotti caseari a chilometro 0: si chiamava Domenico ed era di Pennapiedimonte.

Ed oggi, come fosse l’ultima eredità del destino, è rimasto un pastore di nome Domenico, di Fara San Martino, ultimo testimone ed ultimo rappresentante di quella razza di pastori che tra qualche anno inevitabilmente scomparirà. Domenico Di Falco è l’ultimo che ancora, ogni estate, conduce il suo gregge ai pascoli del Vallone di Santo Spirito e più in alto fino a Val Cannella. Rimane per tre mesi a Piano La Casa e nella sua Grotta Gelata, con una spettacolare vista a sud sul mare Adriatico.  

Oggi, nell’era del digitale e dei virus, raccontando della dura vita di quella gente, possiamo cadere nella sensazione di parlare di qualcosa di arcaico, quasi preistorico, uomini delle caverne in uno dei paesi più industrializzati al mondo. Eppure è storia recente, e in quanto storia e tradizione abbiamo almeno l’obbligo di metterla a conoscenza dei posteri, affinché conoscano le nostre vere radici.
Raianaraya – Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

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