Week end sulle Dolomiti: Escursione sul Passo S. Antonio

L’ultima escursione in invernale prima del lockdown di febbraio. Un’emozionante esperienza sul Passo Sant’Antonio nelle Alpi dolomitiche in località Padola.

Autore: Raianaraya Nature Experience

Lo scorso febbraio, appena prima che le autorità della regione Veneto decidessero di inasprire le misure di contenimento contro il Covid-19, un istinto premonitore mi scosse completamente. Un pensiero fisso cominciò a ronzarmi nella testa come quando sai che se non farai a breve qualcosa, probabilmente sarà ancora più difficile in seguito. Chiamatelo istinto, sesto senso o come più vi aggrada, ciò non toglie che a volte sappiamo già quello che vogliamo fare e, semplicemente, bisogna assecondare quelle sensazioni.

Nel suddetto caso, sentivo che la situazione sarebbe potuta cambiare a causa della pandemia e, quindi, non sarei più riuscito ad avventurarmi sulle cime ancora innevate. Qualcuno potrebbe asserire che non è assolutamente necessario andare in montagna in un periodo complicato come questo, tuttavia, credo che sport e attività in montagna, svolte individualmente o con membri dello stesso nucleo familiare, non vadano assolutamente a intaccare sul tragico contagio pandemico odierno. Inoltre, per chi come me è affetto dal magnetico richiamo della natura, non c’è altra via che farsi trascinare da quell’aura di pura energia e vitalità.

Destinazione Dolomiti

Insieme alla mia avventurosa compagna pianificammo in breve tempo un itinerario per un week end sulle meravigliose Alpi orientali, sulle magnifiche Dolomiti. Nello specifico, affascinati dalla zona del Cadore, non esitammo a prenotare un B&B in un paesino montano nella provincia di Belluno, Dosoledo. Cercavamo un angolo di pace nel silenzio assoluto, lontano da ogni possibile cenno di civiltà. L’obiettivo era quello di fare dei trekking nella neve, anche con ciaspole, e la notte poi soggiornare in un luogo tranquillo seduti vicino a un fuoco e sorseggiando un bel bicchiere di genziana locale.

Mentre organizzavamo la nostra fuga, il nostro carissimo amico Marco si unì alla spedizione e così il sabato mattina, alle otto in punto, eravamo già in auto procedendo verso la nostra destinazione: Padola. Percorrendo l’autostrada, soprattutto negli ultimi trenta chilometri, sembra di essere inghiottiti da questi enormi colossi di roccia che torreggiano ai lati della carreggiata. Infatti, eravamo affascinati da questa visione quasi paradisiaca, ancor di più quando la neve cominciò a cadere placida e le bianche vette quasi si fondevano con il pallido cielo. Negli ultimi chilometri, una volta usciti dal percorso a pedaggio, ci infilammo nell’angusta e tortuosa stradina che ci condusse alla nostra prima meta di giornata.

Padola, escursione, Dolomiti Alpi

Padola, l’inizio dell’avventura

Giungemmo nel rustico centro di Padola intorno alle dieci circa. Le abbondanti nevicate e la frequente azione degli spazzaneve avevano scolpito ogni viuzza del villaggio: bianchi muraglioni si estendevano su entrambi i lati della strada superando le auto in altezza di una decina di centimetri. Lo scenario era suggestivo e il nostro volto palesava quella gioia di chi non aspettava altro che vivere quell’esperienza. Non c’era altro posto in cui avremmo voluto essere se non quello. Entusiasti, parcheggiammo in un piccolo piazzale e ci dirigemmo a piedi verso il posto in cui si noleggiano le attrezzature da sport invernali.

Noleggiammo tre paia di ciaspole per due giorni e saltammo a bordo dell’auto per raggiungere il luogo da cui avremmo affrontato la nostra prima ciaspolata: il Passo Sant’ Antonio. In circa un quarto d’ora eravamo già nel piccolo parcheggio adiacente al bivio per Danta, poco distante dalla chiesetta di Sant’ Anna. Prima però di lanciarci in questa nuova avventura, la mia dolce metà aveva bisogno di un’oretta per sostenere un esame a distanza, pertanto, io e Marco le augurammo buona fortuna e la lasciammo alla sua prova. Per più di un’ora camminammo e ci perdemmo nei sentierini battuti esplorando quelle magiche zone completamente innevate. Il silenzio, la natura incontaminata e la buona compagnia sono sicuramente i doni più grandi che si possano ricevere nella vita.

Passo Sant' Antonio, Padola, Dolomiti Alpi

Ciaspolata, il Passo S. Antonio

Ritornati al parcheggio, ormai pronti per il trekking di giornata, allacciammo le ciaspole e ci incamminammo per il rinomato Passo S. Antonio. Quest’ultimo è un valico alpino nel Comelico che collega Padola all’incantevole Auronzo di Cadore. Il tempo, nonostante le previsioni avverse, tenne fino a tardo pomeriggio, perciò, riuscimmo a godere delle migliori condizioni possibili. Passeggiammo in quelle quiete lande splendenti, circondati da immensi abeti e accompagnati da argentei luccichii innescati dagli innumerevoli cristalli di neve. Come in un deserto artico, candide dune si susseguivano delineando paesaggi da sogno. Di certo fu una fortuna che il sentiero scelto ci venne consigliato da locali per via delle sue vedute panoramiche e mozzafiato.

La nostra escursione durò circa tre ore e più che un’attività sportiva prese i connotati di un’esperienza spirituale. Non nel senso religioso della parola, ma nel suo aspetto intrinseco e più profondo poiché finalmente eravamo immersi nella natura selvaggia, respirando aria pura e percorrendo pendii innevati in totale solitudine, soltanto noi e madre natura. Ancora una volta, avevamo l’occasione di vivere momenti unici e preziosi che solo questo tipo di eventi può generare. Cogliemmo qualche istante per scattare qualche foto ed immortalare attimi di gioia e pura vita. Infine, quando l’ora era tarda, decidemmo di recarci al parcheggio da cui era partito il sentiero.

Escursione Passo S.Antonio, Padola, Auronzo di Cadore, ciaspole

Con un’espressione di soddisfazione sul viso e un leggero accenno di stanchezza, ci immettemmo sulla via del ritorno. In meno di mezz’ora coprimmo la distanza che ci separava dal nostro B&B nel ridente paese di montagna di Dosoledo. Quello sarebbe stato il nostro piccolo covo per la notte, lì avremmo trascorso una delle serate di pace tra le più rilassanti di sempre.

Nel prossimo articolo, dopo aver trascorso la notte, colti da una forte nevicata, esploreremo il Lago di Auronzo di Cadore.
Raianaraya Nature Experience

Il Bivacco sul Monte Velino

La seconda parte dell’escursione sul Monte Velino. Il bivacco in tenda sotto le stelle e il ritorno su una via ancora sconosciuta

Autore: Danilo D’Onofrio

Eravamo ormai in vista del luogo che avevo memorizzato, ai bordi di una dolina erbosa e quasi sul bordo che precipitava nell’anfiteatro, alla testata della Val di Teve, proprio ai piedi del Velino. Sulla destra, 50 metri più in alto, si ergeva il cocuzzolo di Monte Costognillo, come fosse la sentinella del Velino.

Il posto che avevo scelto mentalmente per piazzare la tendina si è poi rivelato uno dei migliori in assoluto tra le mie tante esperienze; era perfetto per ubicazione, tipo di terreno, esposizione e panorama. In più aveva nelle vicinanze dei massi comodi per potervi stendere gli indumenti zuppi di sudore, gli zaini svuotati del contenuto o per essere usati come provvidenziali sgabelli protesi verso un paesaggio da cui era difficile distogliere l’attenzione.  

Le ultime luci del tramonto

Il sole scendeva rapidamente e pensammo bene di sistemare il campo base, operazione che richiedeva non più di dieci minuti, svestirci degli indumenti ormai bagnati di sudore, infilare addosso quelli asciutti e puliti e finalmente congratularci del tutto godendoci la meraviglia del momento, dispersi felicemente in quella immensità. I raggi ormai bassi del sole creavano quella tonalità calda che dà quel tocco in più ad ogni cosa baciata da essi. Peccato che proprio verso ovest, giù in basso verso il Tirreno, il gran caldo del giorno, creava nebbie e foschie che smorzavano un tramonto che poteva essere ancora più perfetto.

La temperatura scendeva rapidamente ma probabilmente erano anche fame e stanchezza che davano il loro contributo affinché l’escursione termica sembrasse più accentuata. Man mano che la temperatura si percepiva più bassa ci vestimmo con altri strati, fino ad indossare la giacca a vento e infilare guanti e cappello. Così riuscimmo a passare ancora del tempo fuori e goderci le prime stelle, stuzzicando qualcosa da mangiare e stappando una bottiglia di vino.

Quasi non osammo parlare per non rompere l’incanto del silenzio perfetto, comunque si parlava a bassa voce come sempre abbiamo fatto in montagna, al cospetto della natura, come crediamo debba sempre essere, invece di inorridire quando si incontrano escursionisti schiamazzanti urlare o cantare. Ultimamente incontrai un ragazzo con tanto di radio ad alto volume in spalla! Non vorrei sembrare il solito vecchio brontolone che inorridisce per niente, che critica tutti, finto paladino del buon senso. Credo che il mio dissenso verso certi atteggiamenti sia lo stesso di tanti che del buon senso ne fanno il giusto condimento nella vita in generale.

Penso che soprattutto in montagna, nella “casa” della natura, ci si debba comportare come si farebbe a casa di altri. Oserei dire che il mio approccio alla montagna è sempre stato in punta di piedi, con un filo di voce, ossequioso ed eternamente grato per ciò che la natura mi ha permesso di essere, silenziosamente.

cima Monte Velino

Il bivacco

Decidemmo di ritirarci nell’accogliente tendina, infilare i piedi nel sacco piuma, accendere il fornellino per una zuppa calda mentre l’altro preparava un opportuno aperitivo. Lasciammo aperti i rispettivi lati della tenda, poiché l’aria era mite, il vento quasi nullo e la temperatura all’interno saliva velocemente al sibilo dei due fuochi accesi, uno per la cucina e l’altro per far luce.

Una speciale bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo per vari brindisi e risate sommesse al ricordo di tante avventure passate. Eravamo ancora lì, sempre con lo stesso spirito, anzi, una voglia maggiore di tornare più spesso a quelle esperienze fin quando forza e salute l’avrebbero permesso.

L’assoluta certezza di essere soli nella notte come tante altre volte, di non scorgere altri lumi in lontananza, alcuna voce se non quella della notte. Un allocco lontano nel bosco, qualche sasso giù per le pietraie e il leggero soffio del vento per meglio godere della volta stellata. Tra una chiacchiera, una risata, un boccone ed un sorso di vino, scostavamo un lembo della tenda per affacciare la testa fuori e avvertire la brezza fresca sul viso ormai piacevolmente paonazzo. 

La nostra cena prese i connotati già noti da cenone. Non mancava di nulla, stazza e peso degli zaini potevano testimoniarlo. Ma sapevamo che la notte sarebbe stata lunga in quel periodo e avere la possibilità di renderla piacevole in quel modo, avrebbe dato risalto e maggior peso ai ricordi.

Dopo alcune ore, restava soltanto da innaffiare il tutto con un po’ di genziana, infilammo di nuovo le scarpe e qualche indumento ed uscimmo di nuovo fuori dalla tenda per sgranchire le gambe prima di infilarci definitivamente nei sacchi. Testa all’insù, al solo lume delle stelle e dei bagliori del fondo valle, si dava pascolo alla leggera ebbrezza dell’alcool e delle pance soddisfatte.

Rientrammo definitivamente e poco dopo cademmo in un sonno ristoratore. Mi svegliai nella notte e notai, attraverso il telo della tenda, il flebile bagliore della luna appena sorta che ci accompagnò per tutto il resto della notte. 

tenda, campeggio e bivacco sul monte velino, abruzzo

Il risveglio e il Monte Costognillo

Le prime luci del nuovo giorno erano la scusa per tornare seduti nella tenda, affacciare la testa fuori, accendere di nuovo il fornellino e godere dell’alba con un tè caldo tra le mani, facendo colazione. I primi raggi colpirono la vetta sommitale del Velino poco distante e, dopo poco, anche la nostra tenda: segnale che invitava ad uscire, procedere con lo smantellamento del campo e sistemare tutto negli zaini ormai alleggeriti.

Numerosi scatti avrebbero immortalato i tanti momenti particolari delle due giornate e avrebbero accompagnato il racconto delle stesse; ma avrei conservato quei ricordi nella mia memoria interna oltre che su un microcircuito elettronico!

In breve toccammo la cima del vicino Monte Costognillo, alla piacevole luce del sole dai raggi sempre più caldi. Proseguimmo per la cima più alta del gruppo e la terza degli Appennini, leggermente macchiata di neve sul versante settentrionale. In breve arrivammo in cima; la temperatura già permetteva di togliersi le giacche; credo fossero le 8:30 e il clima era già così confortevole che ci concedemmo almeno una mezz’ora in cima.

Giù a valle il solito spettacolo di quel periodo: un mare di nebbia in basso a coprire il piano e il cielo azzurro terso che permetteva di contare una per una tutte le montagne intorno, fino alla Majella lontana verso casa nostra. Edmondo era estasiato e al settimo cielo, felice quanto me di vivere quella bellezza, assorbirla e rimandarla con l’espressione eloquente che arriva dal fondo dell’anima.

cima velino, croce vetta, black and white, fotografia velino

La discesa

Percorremmo a ritroso quel tratto di vetta e riprendemmo il sentiero che ci avrebbe portati su Pizzo Cafornia poco distante. Dopo meno di un’ora fotografavo la statuetta della Madonna sulla sua vetta che si stagliava contro il bianco delle nebbie di fondovalle e ci preparammo alle lunga discesa che, in qualche modo, ci avrebbe condotti al punto di partenza. Questa era una parte che conoscevo soltanto su carta, mai fatta prima.

La discesa era abbastanza ripida nella prima parte e con un fondo sdrucciolevole che si avvertiva sulle ginocchia per via degli zaini, comunque sempre abbastanza pesanti. Superata con accortezza quella prima parte, la pietraia lasciò terreno ad un pendio ancora ripido ma più erboso e che poteva nascondere insidie ad ogni passo.

Cominciammo ad aggirare sulla destra la montagna stessa da cui scendevamo per passare ai piedi dei pinnacoli di roccia e degli stretti canalini detritici che scendevano dalle cime su cui esultavamo qualche ora prima. Il terreno non era dei più agevoli, parecchi cervi fuggivano spaventati al nostro passaggio mentre io cercavo, pensando di poter già scorgere da lontano l’arrivo di quel ritorno che ormai pareva più lungo dell’andata.

Qui i commenti del mio amico: “Mi pareva strano che fosse tutto così semplice!! “, ben conoscendo la mia spiccata attitudine nel dare un tocco di “avventura” in più ad un banale ritorno alla civiltà. Ma ormai non avevamo altra preoccupazione se non quella di camminare su un terreno disagevole, percorrendo piste di animali e non di umani, ma consapevoli di ritrovare quanto prima qualche sentiero che ci portasse al punto di partenza. E così fu!

bivacco monte velino, abruzzo

Dopo qualche giorno le autorità proclamarono un nuovo stato di emergenza per cui furono preclusi di nuovo spostamenti, se non per reali e comprovate necessità; queste ultime purtroppo non prevedevano le mie personali. Ma non potei che concordare come la situazione fosse di nuovo drammatica ed attenermi alle regole, come ho sempre fatto.

A maggior ragione, quell’ ennesima ed ultima avventura alle porte dell’inverno, diede un valore maggiore al tutto, come se avessi fiutato l’imminente lockdown e ne avessi approfittato per un’ultima boccata d’aria e di libertà. 

Nelle settimane successive, e di tanto in tanto ancora oggi, guardavo le foto di quelle giornate speciali. La mia tendina ancora una volta lì dove il cuore mi aveva suggerito, il cielo stellato per tetto e le uniche pareti che vorrei sempre avere a circoscrivere il mio essere irrequieto: la natura selvaggia!

Nel prossimo articolo scoprirai le meravigliose Alpi dolomitiche rese ancora più magiche dal tocco della neve.
Raianaraya Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

Escursione sul Monte Velino

L’ultima esperienza in tenda qualche giorno prima che la situazione pandemica ci costringesse ad un nuovo riposo forzato. L’alta pressione regalava condizioni fin troppo generose e così decidemmo di bivaccare sulla cima più alta della catena Sirente-Velino, a confine con il Lazio

Autore: Danilo D’Onofrio

C’è un aspetto della mia personalità che forse andrebbe analizzato da uno specialista. Ho la spiccata tendenza nell’evitare “pareti” e non parlo di quelle d’arrampicata. Non mi sono mai perfezionato in quella tecnica, non perché non mi piacesse ma per sfruttare il tempo che avevo a disposizione con quello che più amo: l’escursionismo. Intendo pareti in muratura o pareti di un rifugio per esempio; idem una vacanza in B&B o peggio ancora Hotel. Volevo comunque introdurre il discorso rivolto alla mia attività in montagna e alle modalità di ricovero di cui essa dispone.  

Le nostre montagne non sono molto attrezzate di rifugi; pochissimi sono gestiti e tanti altri adibiti a ricoveri e bivacchi, spesso spartani e lasciati all’incuria di chi li utilizza. È uno spettacolo a cui ho assistito tante volte in passato e che ora evito in tutti i modi. Per questo ho trovato un modo assolutamente autonomo per ovviare al problema, senza contare il grosso vantaggio, e fattore molto importante per me, di scegliere il sito dove passare la notte anche quando quel posto non è provvisto di strutture.

D’estate e se son da solo adoro bivaccare sotto le stelle, magari sfruttando la conformazione del territorio: un riparo naturale o una radura tra la vegetazione. Ciò a cui do la massima importanza e priorità è che il sito sia assolutamente panoramico, possibilmente che da esso possa gustarmi alba, tramonto e stelle. La tenda è diventata il mio rifugio personale, la casetta che mi porto dietro e che concede tanti comfort in più, anche se il comfort viene pagato col maggior peso dello zaino.

La tenda mi ha permesso di fare esperienze anche invernali, di provare l’ebbrezza delle temperature rigide, di accogliere i miei figli nelle loro prime esperienze in montagna, di fare lunghi trekking, essere indipendente e sentire quella libertà che desidero vivere nell’ambiente che amo, sempre nel rispetto della natura.

Abruzzo, escursione monte Velino

Voglio raccontare dell’ultima esperienza in tenda, proprio qualche giorno prima che la situazione pandemica ci costringesse ad un nuovo riposo forzato. Nei giorni 7 e 8 novembre del 2020 l’alta pressione regalava condizioni fin troppo generose per quelle date, anche nelle temperature.

L’amico di tante avventure era libero e, appena gli proposi una di quelle esperienze che tanto piacevano anche a lui, prontamente spolverò oggetti ormai quasi in disuso: lo zaino grande delle grandi occasioni, fornellino, lampada e una parte del menù che avevamo pensato per allietare la lunga nottata. Oltretutto lui non era mai stato sul Monte Velino, non aveva mai percorso quel tragitto che avevo pensato di fare, conosceva poco o niente di quel fantastico gruppo montuoso ai confini con il Lazio. Ma ricordava i miei entusiastici racconti nelle tante volte che ne percorsi i vari versanti e delle notti in tenda che già vi trascorsi.

Proprio nelle diverse uscite che mi portarono in passato su quella montagna, memorizzai mentalmente un posticino su cui piazzare la mia tendina e trascorrervi una notte, realizzando che da quel posto avrei potuto godere del tramonto e della successiva alba senza che niente potesse ostacolarne la visuale.

Pensai a quel percorso già fatto altre volte negli anni e che tanto mi piaceva; era una lunga cresta e, come tutti i percorsi in cresta, era molto panoramico, comodo come tipologia di terreno e, non per ultimo, con un approvvigionamento di acqua a quota 2000 metri che evitava di caricarci ulteriormente. Il dislivello non sarebbe stato indifferente e la via del ritorno prevista avrebbe chiuso un circuito che ci avrebbe condotti al punto di partenza da un altro sentiero. Questo era il piano che proposi al mio amico e che fu accettato con entusiasmo, anche se con un po’ di scetticismo.

Monte Velino, Abruzzo

Parcheggiai la mia auto nei pressi della Chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta, nota chiesa di stile Romanico del XI secolo di origine benedettina nei pressi del paese di Rosciolo, proprio ai piedi del Velino, ad una quota di circa 1000 metri. Non ricordo con precisione, ma credo che verso le 9:30 – 10 di quel mattino iniziammo la nostra avventura, ancora una volta insieme, io ed Edmondo, come tante volte nel passato. Insieme abbiamo condiviso una delle esperienze più belle che abbia mai fatto, il GR20 in Corsica tanti anni prima, così tanti che pare in un’altra vita: era il 2007!

Entrò in scena quel masochismo che ci contraddistingue, l’atto del caricarsi lo zaino addosso, uno zaino senz’altro di un peso eccessivo, oltre il bisogno effettivo. Ma siamo fatti così: che nulla ci manchi, che il giusto e meritato riposo che verrà sia provvisto di ogni bene possibile. Quasi scomparsi sotto il pesante ed ingombrante fardello, ci incamminammo lungo la mulattiera che dopo breve ci avrebbe portati sul sentiero da seguire per il resto della giornata.

Dopo circa un’ora raggiungemmo quella cresta che non avremmo più abbandonato; lo spettacolo era già immenso, quasi tutta la piana del Fucino era ancora leggermente ovattata dalle nebbie di stagione, i monti verso il Lazio sullo sfondo, più a sud le ultime propaggini del Parco Nazionale, i Monti Reatini verso nord, la Val di Teve che dai nostri piedi sprofondava in scure pareti mai battute dal sole. Di fronte, al di là della valle stessa, la cresta di Murolungo che io ed Edmondo percorremmo appena una decina di giorni prima, in un lungo giro in giornata in cui toccammo le cime attorno al lago della Duchessa.

La temperatura era più alta del previsto, ma comunque gradevole e sopportabile; il tempo non ci mancava e potevamo procedere con la calma che i pesanti zaini ci imponevano. La giornata era perfetta sotto tutti i punti di vista, anche il cielo non perfettamente pulito era il meglio che un fotografo dilettante potesse chiedere, affinché le foto dessero giusto risalto alla cornice.

Catena Sirente-Velino, abruzzo, escursione monte velino

Dall’alto della cresta, tra gli ultimi alberi più in basso, scorgemmo dei cervi che lentamente si allontanavano. Ma l’apparizione che aspettavo come fosse ormai un appuntamento fisso era quella del volo dei grifoni, sempre presenti e sempre numerosi su quella montagna, con le loro importanti dimensioni che, frapponendosi tra cielo e terra, creavano ombre mobili sul terreno, come fossero enormi aquiloni. 

Questi enormi rapaci non sono diffidenti come le aquile e hanno abitudini completamente diverse da esse. È facile osservarli da vicinissimo; spesso accade che risalgono le vallate e di colpo li si ritrova ad un palmo dal naso, tanto da distinguere benissimo ogni particolare e poterli immortalare in un primo piano. Pattugliano continuamente il vasto territorio in cerca di animali morti, per cui non predano ma si nutrono esclusivamente di animali da pascolo o selvatici che muoiono per cause naturali o accidentali.

Il mio amico era estasiato ed io provavo orgoglio nel vederlo completamente assorto, spensierato ed entusiasta. La sua soddisfazione era la mia! La fatica ed ogni altro fastidio passavano in secondo piano, si procedeva con estrema calma, tante brevi soste, chiacchiere o silenzio contemplativo. Lasciammo il filo di cresta che portava su Monte Rozza per proseguire sul suo fianco, dove avremmo incontrato la fontana di Sevice per darci una rinfrescata e fare scorta di acqua. Altri cervi scorrazzavano in basso alla nostra destra attraversando il Vallone di Sevice, spaventati da escursionisti che salivano e scendevano da quel versante. Alla fontana incontrammo i primi escursionisti della giornata che però erano già sulla via del ritorno; dagli zaini essi capirono che la nostra invece sarebbe stata un’andata con sosta notturna.

Proseguimmo, ormai eravamo a buon punto avendo superato il dislivello maggiore. Arrivammo alla Capanna di Sevice a quota 2100 metri circa, un bel rifugio in una posizione fantastica, ai bordi di un valloncello erboso da cui era già possibile ubriacarsi di paesaggi. C’erano ancora macchie di neve caduta qualche settimana prima che creavano un contrasto perfetto col verde dell’erba, l’azzurro del cielo, il grigio delle vette e il marrone bruciato delle faggete nelle vallate. Tutto quello spettacolo di tonalità contrastanti era reso ancora più pittoresco dal sole che iniziava la sua veloce corsa verso l’orizzonte ad ovest.

Abruzzo, Monte Velino

Camminammo sul bordo del Piano dei Cavalli e ci affacciammo sui ripidi pendii che scivolavano vertiginosi verso la sottostante Valle di Teve. Aggirando la Piana, iniziava una leggera ed ultima salita che portava verso la cima del Sevice e che sulla sinistra proseguiva verso Monte Costognillo ed infine Monte Velino. Accelerammo il passo per quanto le energie potessero permetterlo poiché volevamo trovare una sistemazione e prepararci per la lunga notte sfruttando la temperatura ancora piacevole e gli ultimi raggi di sole.

Nel prossimo articolo non perdete la notte sotto le stelle ai piedi del Monte Velino.
Raianaraya Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

Anello dei Tre Faggi – Valle Imagna

L’escursione di Shanuka Perera per Raianaraya – Nature Experience

Prealpi Bergamasche

Anello dei TRE FAGGI, un percorso escursionistico sulle Prealpi Orobie che parte da Fuipiano, raggiungendo alcune mete escursionistiche come Zuc di Valbona-Valmana (1546 m), I Canti (1563 m), Pralongone (1503), e i Tre Faggi (1399 m).

L’alta Valle Imagna, offre, oltre ai noti sentieri per il Resegone, un facile, panoramico e dinamico itinerario, che si presta a quasi tutte le esigenze e per tutte le stagioni, attraversando sconfinate faggete e pascoli. Fuipiano si trova a 1019 metri s.l.m. ed è anche per questo che viene chiamato con il nome di Tetto della Valle Imagna. Dal paese partono una miriade di escursioni attraverso distese e boschi che si estendono lungo i crinali tra la Val Brembilla e la Valle Taleggio. L’escursione in questo caso ha come obiettivo località Tre Faggi che prende il suo nome appunto dai tre enormi faggi secolari lì presenti. Queste maestose piante secolari si distinguono per la loro forma sinuosa e svettano verso il cielo come antiche fortezze come custodi del tempo. Da I Tre Faggi si ha una vista panoramica mozzafiato da cui si può ammirare uno scenario affascinante sulla Valle Imagna dominata dal mitico Resegone.

Alla conquista di Maja

Un trekking di una giornata sulla catena montuosa della Majella. Un’esperienza solitaria nel bel mezzo della natura selvaggia d’Abruzzo

Autore: Danilo D’Onofrio

Quando il tipo del bar mi chiese da dove venissi e io gli raccontai sommariamente della giornata, volle offrirmi quella birra fresca che tanto avevo immaginato nelle ultime ore, mentre grondavo di sudore.

La partenza

La sera prima, assieme ad un amico, andai a lasciare la mia auto nel punto di arrivo della lunga traversata che desideravo compiere. Quella sera i fari delle auto facevano fatica a penetrare il muro di pioggia che ostacolava ogni buon proposito. Mentre guidavo, e prima che iniziasse a piovere, riuscivo ancora a distinguere al crepuscolo il profilo della Majella dal versante occidentale. Al ritorno, con buio e temporale, tutto fu inghiottito come dentro una nera voragine, tranne la mia ferrea determinazione nel non lasciarmi scoraggiare da quella che sapevo fosse una fase breve e transitoria del meteo.

Ero talmente determinato e convinto che niente avrebbe potuto impedirmi di intraprendere quella traversata: dal rifugio Pomilio alla stazione di Palena, tutta la dorsale della Majella. Mi consideravo già nel vivo dell’impresa, non vi era voce che riuscisse a distogliere l’attenzione da quel pensiero fisso. Dovrebbe chiamarsi concentrazione, non saprei, ma è qualcosa che mi accade da sempre alla vigilia di qualcosa di speciale; non mi lascia neanche dormire, sicuramente è una forma di eccitazione.

Infatti quella notte volò nell’attesa e nella speranza che, per una volta nella storia del nostro pianeta, potesse essere più breve. Non ricordo niente di quella breve notte in bianco ma ricordo bene che alle 6 del mattino successivo compivo i primi passi di una lunga ed emozionante giornata. Salutai l’amico che mi accompagnò al Pomilio, mi concessi quella ultima riguardevole distrazione prima di aprire la porta che mi avrebbe condotto fuori in quel mondo parallelo, dove sarei stato ancora una volta solo con Maja.

parco nazionale della Majella - Abruzzo, escursione

Il fontanile Acquaviva

Era lì davanti a me in quella visione superba, baciata dai primi raggi del sole; non un alito di vento a disturbare quei primi momenti e l’atmosfera pareva più placida di sempre, come ad accogliermi in un paradiso naturale. Avrei cavalcato il profilo della Majella in tutta la sua dorsale, o almeno questo era il buon proposito. Gli scheletri di metallo che imprigionano la Majella in quel punto di partenza, scomparivano sulla scia dei miei primi passi.

L’alba decorava l’orizzonte verso est; in quei momenti ogni cosa si colora di toni caldi. Guardavo le mie braccia abbronzate ora brunite perché baciate da quei primi raggi, il versante nord delle Murelle che si concede al sole solo in pochi momenti dell’anno, le estremità dei pini mughi raggiunti dai raggi ancora bassi e le pietraie sommitali che segnano la quota dove gli unici vegetali sono rappresentati da piccoli nuclei di fiori.

Procedendo sulla cresta il giorno tardava ad arrivare, il risveglio di colori fu molto più lento e la valle dell’Orfento era ancora immersa nell’ombra del crinale che percorrevo. Il sole lentamente venne fuori e distese la sua palla infuocata sul mare, come un drappo sgargiante; distinguevo il profilo della costa verso sud e la sua curva che si protende verso il Gargano. Era un venerdì di settembre, giorno lavorativo di fine estate e di conseguenza non incontrai nessuno… fino al fontanile Acquaviva.

Con stupore, procedendo tra i fitti mughi e nel silenzio rotto soltanto dal ronzio degli insetti, mi arrivarono delle voci poco distanti, probabilmente dal fontanile ormai vicino. Erano tre donne, più mattiniere di me e che facevano provvista di acqua fresca: una tappa fissa ed obbligata per chi si accinge ad andare oltre ed iniziare la vera salita. Un breve e simpatico scambio di informazioni, convenevoli ed un breve tratto condiviso prima che loro piegassero verso il Bivacco Fusco ed io dritto per dritto verso il Monte Focalone. Erano dirette verso Monte Amaro, andata e ritorno in giornata; la cima più elevata della Majella avrebbe rappresentato per me soltanto una tappa ai due terzi circa dell’intero percorso.

Majella - Abruzzo

Il Monte Focalone

Da quel punto ritrovai l’isolamento iniziale che mi avrebbe accompagnato per quasi tutta la giornata. La giornata era stupenda ed un clima migliore raramente mi ha accompagnato a quelle quote. Il cielo sereno e leggermente screziato da sottili stratificazioni di nuvole lasciava presagire la totale assenza di vento, un fattore normale ma a volte anche fastidioso su quei percorsi aerei. Non avevo fretta. D’altronde la fretta avrebbe sempre rappresentato un elemento di grande disturbo nell’attività che ho sempre amato gustare con la calma che richiede.

Ma il tempo era buono, potevo vivere e assorbire con tranquillità ogni istante, scattare foto, affacciarmi sul vuoto delle vallate, osservare i camosci che si rincorrevano, prendere un sasso in mano e sentirne il tepore, ammirare la perfezione dei piccoli fiori delle pietraie d’alta quota e ricordare che ero al cospetto di una montagna unica e particolare, un museo a cielo aperto. Tra i suoi numeri non conta soltanto le 20 cime oltre i 2500 metri, ma anche il 30% della flora nazionale ed il 15% di quella europea, circa 150 endemismi: un patrimonio ineguagliabile. Gli stessi pini mughi che la ricoprono tra i 1700 -2000 metri di quota, rappresentano un curioso scherzo della natura. Infatti essi si trovavo un po’ su tutte le Alpi, ma sugli Appennini hanno la loro unica grande colonia proprio sulla Majella, oltre alla piccolissima presenza nella zona della Camosciara, nel Parco Nazionale d’Abruzzo.

Raggiunsi la prima grande elevazione di Monte Focalone a quota 2600 metri e feci una breve pausa giusto per ricordare le tante volte in quel luogo che in inverno diventa quasi irriconoscibile per la gran quantità di neve che la ricopre. Ricordavo con piacere come il Focalone fosse stata l’ultima meta dell’ultima sciata della stagione in un anno dove la neve cadde abbondante e mi concessi una giornata faticosa ma di grande respiro. Quel giorno, raggiunta quella cima inforcai con gli sci lo stretto canalino che si immetteva direttamente nell’anfiteatro delle Murelle per poi risalire al Bivacco Fusco e sciare di nuovo giù per il Cavone tornando sulla via del ritorno. Era il 18 di giugno e nel pomeriggio dello stesso giorno, sci in macchina, provai il godimento di un tuffo al mare.   

Monte Focalone - parco nazionale della Majella

Direzione Monte Amaro

Da quel punto è possibile osservare tutto il percorso fino a Monte Amaro e distinguere l’arancio del Bivacco Pelino, unica nota di colore nella familiare monocromia del paesaggio. La cresta diventa un saliscendi per tre volte prima di toccare la massima elevazione; quel tratto è chiamato infatti i Tre Portoni. Lateralmente alla zona che va dal Pomilio al terzo portone si susseguono le profonde, selvagge e a volte inaccessibili valli che caratterizzano la Majella. La storia di questa mitica montagna è scritta in ogni pietra o grotta e da quegli abitanti una volta numerosi: i pastori.

Sulla sinistra si susseguivano il Vallone delle Tre Grotte verso Pennapiedimonte, la Valle di Selvaromana, il Vallone delle Mandrelle e alla fine quello lunghissimo di Santo Spirito con l’enorme dislivello che porta giù a Fara San Martino. Sulla destra c’era l’enorme imbuto che dà origine alla Valle dell’Orfento che, nella Riserva della Sfischia, rappresenta un santuario naturalistico di eccezionale interesse.

Procedevo con regolarità ed assoluta calma, lo sguardo perennemente rivolto a tutto ciò mi circondava, come fosse la prima volta in quei posti. Dopotutto ogni volta è come fosse la prima, ne resto sempre rapito allo stesso modo. Non accusavo alcuna fatica, il respiro sempre regolare, qualche sorso di acqua giusto per convenzione, diciamo la scusa buona per brevi soste e qualche scatto. Dopo circa quattro ore ero al cospetto della grande croce di vetta di Monte Amaro, l’aria ancora ferma, temperatura più che gradevole, panorama mozzafiato ed ancora solitudine perfetta. Mi concessi circa venti minuti di sosta per rifocillarmi e nel mentre arrivò silenziosamente alle mie spalle un escursionista solitario, proprio come me; saliva da Fara San Martino, impresa non per tutti!

Monte Amaro - Majella

La discesa a Guado di Coccia

Era ora di proseguire, c’era ancora tanta strada da fare e il fatto che iniziasse una lunga discesa non permetteva comunque di adagiarsi in “ozi” prolungati. Quel giorno decisi di compiere quella traversata calzando basse scarpe da trail e la scelta fu quella giusta. Esse mi permettevano una libertà maggiore senza incidere sulla sicurezza, anche perché il tipo di terreno che avrei incontrato non richiedeva necessariamente il classico scarpone. Quel tratto che scendeva da Monte Amaro verso Femmina Morta permetteva di procedere abbozzando una corsa, il terreno coperto di piccoli e piatti sassi concedeva, anzi spronava, ad un’andatura più sostenuta senza affaticare le articolazioni.

Grotta Canosa era una tappa obbligatoria di piccola sosta, tante volte usai in passato quel luogo come ricovero notturno, quando d’estate il Pelino era gremito di gente, chiasso e sporcizia. Era stata anche la prima volta su Monte Amaro per i miei figli, qualche anno prima, credo nel 2016. Salimmo dal lungo e selvaggio Vallone di Taranta e pernottammo appunto a Grotta Canosa, dove vivemmo insieme una serata e nottata indimenticabili, toccando Monte Amaro il giorno successivo all’alba, senza caricarci dei pesanti zaini che avremmo recuperato al ritorno.

Allo stesso modo mi crogiolavo nel ricordo delle tante volte d’inverno con gli sci; la croce intonacata di ghiaccio scultoreo e la lamiera del bivacco Pelino incrostata alla stessa bizzarra maniera. Pensare in quel frangente al freddo intenso di tante volte con la neve pareva surreale. Ero ormai in pantaloncini e mezze maniche, il sole settembrino era ancora potente a quell’ora e misi un cappello a ripararmi sommariamente dai suoi potenti raggi. Raggiunsi quasi volando Forchetta a Majella, mi tenni basso per evitare i tanti saliscendi. Superai la conca erbosa proprio in corrispondenza della Forchetta e mi avviai verso le creste di Tavola Rotonda.

La prima nuvolaglia innocua risaliva dalle valli adiacenti e riusciva a celare quasi totalmente la visibilità intorno. Ma ero sul sentiero ufficiale, con tanto di segnali, e comunque conoscevo molto bene l’orografia del territorio e non temevo alcun pericolo. Infatti poco dopo scorsi tra le nebbie i tralicci dismessi del vecchio skilift che saliva da Guado di Coccia, il punto più basso dell’intero percorso. Fu quello il tratto più faticoso da scendere, per via dell’erba alta e scivolosa e la pendenza che tornava ad essere accentuata. Arrivai al guado e mi concessi una meritata e necessaria sosta; cambiai i calzini, sgranocchiai qualcosa e, nella stanchezza che ora si cominciava ad avvertire, guardai il pendio non trascurabile che avrei dovuto risalire per toccare il Monte Porrara, da lì un’ultima discesa mi avrebbe condotto al punto di arrivo.  

Majella - Abruzzo

Gli ultimi passi dell’impresa

Quella sosta fu provvidenziale e come tante altre volte mi è accaduto, dopo ore ed ore di scarpinate, pare che il mio corpo possa attingere da una forza che non crede di avere. Riuscii così a coprire quel dislivello come niente fosse, con una forza che non sentivo più di possedere. Mentre arrancavo negli ultimi metri prima della croce del Porrara, percorrendo quella splendida ed affusolata cresta che la precedeva, mi voltai più volte per ammirare la discesa fatta poco prima e cercare di andare oltre con lo sguardo pur sapendo che ormai buona parte del percorso non era più visibile.

Ma bastava chiudere gli occhi e scorrere i fotogrammi di quel film appena vissuto e di cui ero unico interprete. Ero felice e basta! Ultima foto sul Porrara e quell’ultima discesa come un attore che esce dalle scene. Il sipario poteva essere finalmente chiuso, un altro sogno realizzato con la buona sorte che sempre mi ha accompagnato nella mia passione per la montagna.

Il barista è stato il primo a sapere della mia particolare escursione e una delle poche persone incontrate nell’intera giornata. Mentre gustavo quel boccale di birra, la mente già partoriva altre idee.

Un’altra impresa degna di nota all’insegna dell’avventura e dell’escursionismo su una delle catene montuose più suggestive d’Italia. Amate la Majella, ecco la nostra esperienza di due giorni sulla Majella: da Capo le Macchie a Grotta Callarelli .
Raianaraya Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

Due giorni sulla Majella: sulla via del ritorno

Escursione sulla Majella di due giorni, un viaggio nell’Abruzzo selvaggia e incontaminata

Autore: Danilo D’Onofrio

Alle 4 del mattino, alla luce della lampada frontale, mi incamminai per raggiungere Monte Acquaviva, la cui sagoma era proprio di fronte a me, sullo stesso crinale dove passai la notte. Dovetti abituarmi al freddo ora pungente ma la salita che mi avrebbe condotto sulla cima permise di scaldarmi velocemente, nonostante una brezza tesa mi costringesse ad infilare giacca e guanti come fosse inverno.

Mi trovavo proprio sul pianoro sommitale dove la pendenza era ormai quasi nulla; camminavo su quel pavimento di sassi piccoli e piatti, levigati dal vento e dal ghiaccio e su qualche ciuffo di erba rinsecchita e verdi cuscinetti di silene. Intravedevo l’enorme croce che indicava la vetta poco distante quando lo spettacolo dell’aurora a est iniziò a cedere la tavolozza di colori ai primi raggi del sole. Questo era il miracolo di ogni giorno, uno spettacolo di cui mai avrei fatto a meno. L’enorme sfera rossa faceva capolino dietro la linea dell’orizzonte, inviando i primi raggi sulle cime più elevate e riflettendo il proprio colore sulla superficie del mare.

Lo stesso spettacolo di sempre e l’animo mai pago di quella meraviglia. Mi fermai in contemplazione, estraniato da tutto, intontito di emozioni, felice fino alla commozione. La sfera incandescente si alzava rapidamente e tutto lo scenario dormiente cambiò volto, la mia ombra si allungava verso ovest e, man mano che il sole prendeva quota, si accorciava dalla sua sorgente. Ero alla base della croce di vetta quando i primi raggi iniziavano ad insinuarsi tra le sue maglie metalliche e l’ombra della croce stessa si stagliava sul terreno come ad indicare la via da seguire.

Majella Abruzzo

Incontrai i primi esseri umani seduti ed imbacuccati a godersi l’alba in un ricovero improvvisato fatto di sassi. Qualche foto, qualche scambio di parole e di saluti e via. Dovevo proseguire, sfruttare il fresco del mattino per risparmiare energie; valutando che la via del ritorno sarebbe potuta essere più lunga dell’andata. 

Scesi velocemente fino alla Sella di Acquaviva dribblando i grandi massi che scendevano su quel versante, ancora con la giacca e guanti infilati a protezione contro il venticello fresco del mattino.

Presi la direzione per Cima Murelle e, prima di iniziare la cresta aerea che mi avrebbe condotto in vetta, attraversai una larga lingua di neve ben battuta che proseguiva in basso verso la Valle del Forcone, la stessa che il giorno prima sfiorai all’altra sua estremità, giù a Grotta dei Callarelli.

I camosci, sorpresi dal mio passaggio, si esibivano nella loro arte migliore, quella del funambolismo, e saltellavano pericolosamente e vertiginosamente da una guglia all’altra, come sospesi nel vuoto.

Tornai nell’isolamento che mi aveva accompagnato fino a quel punto, interrotto soltanto dalla parentesi sul Monte Acquaviva. Arrivai a Cima Murelle immortalandomi in un autoscatto con il mare come sfondo.

Abruzzo Majella

Il caldo iniziava a farsi sentire e decisi di cambiare abbigliamento visto che avrei perso rapidamente quota scendendo dal versante est delle Murelle fino a raggiungere il valico di Carozza a quota 2000 metri circa.

La quota scendeva mentre la stanchezza, il caldo e la sete salivano gradualmente. Dovetti centellinare la scorta d’acqua; lo zaino non sarebbe dovuto essere così pesante, ma evidentemente la fatica accumulata, il sonno volutamente perso ed il caldo crescente producevano un effetto contrario.

Pensavo: “Ecco, in questo sono un po’ masochista”; come se adorassi un pochino di sofferenza per meglio ricordare quei momenti in futuro o per dare un aspetto ancora più goliardico al tutto. Figuriamoci, proprio io che raramente condivido le mie passioni, e se lo faccio, è solo con pochi intimi. Proprio io che sono fresco di social network e che mai avrei pensato che un giorno questi ricordi potessero essere letti da qualcuno. Ma devo tornare al valico di Carozza, lì dove mi portano di nuovo i ricordi, e ripercorrere quei passi che mi avrebbero condotto alla fine dell’esperienza.

La discesa dal versante est delle Murelle fu entusiasmante, in perenne compagnia dei camosci che da quelle parti sono molto numerosi grazie al traffico escursionistico meno intenso.

Toccato il valico di Carozza, imboccai il traverso che mi avrebbe condotto nei pressi del rifugio Martellese, probabilmente la struttura della Majella che più volte mi ha ospitato, specie nelle notti d’inverno. In qualche occasione vi passai anche il Capodanno; l’ho sempre preferito per la sua posizione panoramica, forse anche perché piccolino e quasi intimo, non molto frequentato d’inverno e con la possibilità di accendere il fuoco per via della scorta di legna quasi sempre presente.

C’erano degli escursionisti nei pressi del rifugio e io non avevo né tempo né motivo di arrivarvi. Infatti ricominciai l’ennesima ed ultima salita verso le creste del Martellese, infilandomi nel corridoio di pini mughi che mi avrebbe condotto su Cima Forcone. In seguito avrei potuto ammirare i bellissimi affacci sul versante nord dell’Acquaviva, la sottostante Valle del Forcone e avrei potuto rivedere buona parte dell’ultimo tratto del percorso fatto il giorno prima.

Monte Acquaviva Majella, Abruzzo

Quel tratto di cresta che stavo percorrendo era un vero dedalo tra le barriere di pino mugo, tra sali-scendi, balconate panoramiche ed isolamento di nuovo totale. Opportuni omini di pietra permettevano di non sbagliare, ma bisognava comunque procedere con cautela ed attenzione per cercare di non smarrire la retta via.

Tornai in una fattispecie di civiltà soltanto dopo essere arrivato alla fine di quella cresta selvaggia, deserta e tormentata; dove un cartello metallico indicava le Macirenelle e l’arrivo del sentiero che saliva da Colle Bandiera. Iniziai ad avvertire i primi vocii e le prime presenze umane; qualche innocua nuvoletta iniziava a volteggiare sulle cime ormai lasciate di nuovo alla loro austera immensità.

Caldo, stanchezza, fame e sete passavano in secondo piano per via dell’euforia che spazzava via tutto. Passo dopo passo, in quella discesa ormai quasi priva di interesse, mi cullavo nel dolce ed eccitante ricordo di quel sogno ormai realizzato, in ogni singolo momento, particolare, sguardo e panorama.

Contavo i sassi calpestati su quella montagna che mi aveva stregato fin dall’infanzia, riportavo alla mente quelle tavolozze di fiori alle quali avevo prestato particolare attenzione per non calpestarne neanche uno. Ricordavo la destrezza dei camosci, quel tramonto sorseggiando un bicchiere di vino e l’aurora spettacolare col tè caldo tra le mani.

Majella Abruzzo panorama escursione montagna alba

Sapevo che tutta l’esperienza si sarebbe fossilizzata nel mio cuore; esattamente come il mare primordiale, che aveva lasciato le sue testimonianze impresse sulla roccia della nostra giovane terra.

Mi trovavo nel punto che ventiquattro ore prima mi vedeva quasi all’inizio di quella esperienza indimenticabile; sorseggiavo acqua fresca nei pressi di Colle Bandiera con lo sguardo sempre rivolto verso quella direzione. Come l’ago della bussola che punta verso il nord, anche il mio era magnetismo e mi dicevo che sarei tornato ancora e ancora, attratto da qualcosa di cui mai avrei fatto a meno. Guardai tanto quel panorama, ora meno misterioso, prima di iniziare l’ultima discesa verso il punto di partenza. Guardai così tanto che tutta l’immagine iniziò ad essere sfocata. Mi accorsi allora che una lacrima distorceva la realtà, ma questa volta per la felicità.       

La conclusione di un’escursione indimenticabile in uno dei luoghi più selvaggi e unici d’Italia. Ecco l’inizio di questa avventura: Due giorni sulla Majella.
Raianaraya Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

Due giorni sulla Majella: il bivacco

Bivacco sulla Majella con un’escursione di due giorni nel parco nazionale più suggestivo d’Abruzzo

Autore: Danilo D’Onofrio

Dopo la Grotta dei Callarelli, la valle principale che mi accompagnava dall’inizio della giornata proseguiva col suo ultimo appellativo: Valle del Forcone. Proprio dallo stesso punto, appena sulla sinistra, iniziava Valle Acquaviva, che avrei seguito da quel punto in su. Stavo per iniziare un percorso in una zona per me quasi completamente nuova, poiché ne assaggiai solo una piccola parte anni prima con mio fratello.

Dei provvidenziali, omini di pietra innalzati da qualche santo uomo, permettevano di progredire facilmente senza perdersi nel labirinto vegetale che i pini mughi rappresentavano. Il percorso in quel punto era abbastanza ripido e, volgendo lo sguardo in avanti, provavo quasi sgomento per l’aspetto severo e aggettante che le bastionate rocciose incutevano alla vista.

Arrivai nel punto dove mi spinsi anni prima con mio fratello; ero di fronte ad un’alta muraglia con grotte larghe e profonde alla base. Proprio in quel punto la Rava si apriva ad imbuto sui fianchi; un ripido canalino proseguiva dritto dinanzi a me. L’interesse che mi colse in quel momento mi accompagna ancora oggi e sono certo mi condurrà di nuovo in quei luoghi, per un insaziabile gusto per l’ignoto, per il nuovo o semplicemente per completare il “discorso”. In questo modo il mio animo resterà marchiato a vita da quei ricordi e niente rimarrà incompiuto.

Lasciai sulla destra quell’invitante canalino e, poco prima di arrivare a quelle enormi cavità, iniziai a piegare a sinistra per proseguire sull’itinerario che mi ero studiato a tavolino. In questo modo avrei raggiunto la cresta che da Monte Pizzone mi avrebbe condotto l’indomani verso il Monte Acquaviva e via di seguito.

escursione nel parco nazionale della Majella, montagna Abruzzo

Ero immerso in un luogo senza tempo, l’ombelico della Majella. In questo paradiso bucolico, dove l’odore era quello del selvatico, gli endemismi della Majella toccavano la loro massima espressione dando tocchi di colore qua e là, come pennellate di un artista moderno. Le uniche presenze, sentinelle e custodi di quel luogo dimenticato, erano i camosci che silenziosi si crogiolavano al sole intermittente, stravaccati su enormi massi erratici. Mi guardavano con curiosità, sicuramente non abituati ad altre presenze.

Le nuvole volteggiavano nella valle sopra la mia testa ma capii che non avrebbero creato problemi. Solo qualche provvidenziale goccia di pioggia venne a rinfrescarmi proprio in quel punto dove, se fossi stato sorpreso da temporale, avrei potuto ripararmi in quelle enormi grotte, in attesa che tutto passasse.

Incontrai delle difficoltà solo in quell’unico tratto, mentre cercavo di raggiungere la cresta ormai vicina. I pini mughi creavano barriere e soltanto l’esperienza poteva lasciarmi trovare la strada giusta. E così fu.

Cavalcavo ormai la lunga cresta che univa Monte Pizzone all’Acquaviva. Da quel punto l’animo faceva scintille alla vista della nuova visuale che si presentava davanti, a completamento di una giornata ricca di emozioni.

camoscio nel parco nazionale della Majella

Dovevo soltanto scegliere un posticino dove bivaccare, che fosse abbastanza comodo e in qualche modo riparato da eventuale vento. Ma c’era un aspetto più importante della posizione strategica contro il maltempo: volevo che quel giaciglio avesse un panorama a 360°, non volevo perdermi niente e desideravo godermi il sole dal tramonto fino all’alba.

Per questo motivo declinai l’invito di un posticino fin troppo comodo, che definirei a 5 stelle, per uno più spartano ed arioso ma con una visuale impeccabile, quello che cercavo e di cui avevo bisogno. Valutai che la quota fosse intorno ai 2400 metri s.l.m. e, una volta tornato a casa, ne controllai l’esattezza sulle cartine.

Di lato potevo osservare il versante da cui ero salito in basso mentre, proprio davanti a me, avevo la parte finale della Valle delle Mandrelle, Piano La Casa e Domenico con la sua Grotta Gelata di cui avvertivo i richiami al proprio gregge. Davanti a me si estendeva tutto il paesaggio lunare della parte alta della Majella fino a Monte Amaro, tutte zone che già avevo percorso in anni di escursionismo.   

Majella - Abruzzo

Erano passate circa sette ore dall’inizio dell’avventura e mi trovavo nel luogo dei miei sogni; ma ora i miei occhi erano aperti e non sognavo affatto. Mi preparai per passare la serata e la notte, rifocillarmi, godermi lo spettacolo e prepararmi per l’indomani.

Quelle erano le giornate più lunghe dell’anno e l’agonia del sole calante era interminabile. Come per un gioco di equilibrio e compensazione, il tramontar del sole avrebbe ceduto il compito di luce alla luna piena, che sarebbe sorta sul mare e che avrei avuto il privilegio di veder nascere dalla mia speciale tribuna.

Il piccolo campo base era ben sistemato: fornellino, asciugatoio e giaciglio. Da quel mio speciale punto d’osservazione non sapevo dove guardare prima, ma ero rilassato e avrei avuto tempo a disposizione per godermi il meritato e confortevole spettacolo che avevo a disposizione.

bivacco sulla majella, montagna

Avevo la consapevolezza di essere solo in quella infinità senza avvertirne il peso, anzi, vivevo quella condizione di isolamento come vero e genuino senso di libertà. Pervaso da tanta bellezza, la mia mente scavava nel passato e, compiaciuto, potevo ricordare di come l’amore per la natura mi avesse salvato in passato da malesseri latenti e di come la natura sia stata la cura contro dispiaceri di vario tipo. L’aver vissuto condizioni di “eremitaggio” voluto mi aveva sempre aperto la mente verso soluzioni che difficilmente avrei trovato.

Pensavo ai miei ragazzi, la gioia della mia vita, che già tante volte avevano condiviso con me esperienze di questo tipo, nella speranza che avrebbero alimentato quella passione anche per conto proprio.

Un venticello costante mi ricordava che su quelle montagne non è mai perfettamente estate e l’escursione termica costringeva il mio corpo ad adattarsi al calo improvviso di temperatura.

notte, majella, montagna, escursione

Le pietraie d’alta quota della Majella rilucevano della luce della luna come fossero neve ed il chiarore permetteva di distinguere dettagli come fosse giorno. Di tanto in tanto avvertivo sassi rotolare giù per i canaloni, a ricordare che non ero solo e che qualche abitante stabile di quei luoghi, probabilmente un camoscio, si spostava approfittando della semi oscurità.

Non riuscivo a prendere sonno, o forse non volevo che accadesse. Forse temevo di perdere anche un solo fotogramma del caleidoscopio di immagini che guardavo, come se fosse stato proiettate solo per me. 

Alle tre, seduto ma ancora infilato nel sacco piuma, accesi il fornellino per scaldare acqua per un tè caldo e iniziare lentamente a sgranchirmi, radunare tutto e smantellare il bivacco.

Così si conclude la prima entusiasmante giornata nel cuore della Majella. La prossima settimana arriveremo al termine di questa avventura sulle montagne abruzzesi.
Raianaraya Nature Experience

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Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

Due giorni sulla Majella: da Capo Le Macchie a Grotta Callarelli

Autore: Danilo D’Onofrio

Mi trovavo seduto all’ombra, fuori dal bar del paese e, sorseggiando una birra fresca, mi beavo alla vista del panorama che avevo dinanzi. Potevo chiudere gli occhi e catapultarmi in quei posti calpestati fino a poche ore prima, assaporando ancora quelle sensazioni uniche.

Quando un sogno diventa realtà suscita un misto di emozione, eccitazione, gioia ed anche commozione; quantomeno questo è ciò che accade al sottoscritto in talune circostanze. Mi commuovo e mi vengono lacrime di felicità, ma devo essere da solo, altrimenti non funziona!

E da solo avevo deciso di compiere quel giro, da solo l’avevo ideato e da solo alla fine l’ho realizzato e portato a termine. L’idea originale era quella di percorrere un lungo itinerario in una delle zone più remote e meno frequentate della Majella, almeno nella prima parte, nella salita del primo giorno. Il secondo giorno avrei sicuramente incontrato escursionisti toccando zone più battute dal turismo, per chiudere infine un anello e tornare al punto di partenza: Fara San Martino.

camoscio, Majella, Abruzzo

Lo zaino, che rappresentava una buona ed “invadente” compagnia, era caricato nella minuzia dei dettagli: che nulla mancasse ai due giorni di autonomia, visto anche l’isolamento della zona. Il tragitto di andata prevedeva che toccassi dei punti in cui potermi rifornire d’acqua anche per il giorno successivo, in cui invece non ne avrei trovata fin quasi alla fine del percorso. Anche questo era stato studiato accuratamente, così da non caricare ulteriormente lo zaino e per meglio affrontare il non trascurabile dislivello in salita.

Erano i primi di giugno e il clima era caldo e afoso. Mi lasciai l’auto alle spalle, a Capo Le Macchie, iniziando l’avventura verso le dieci di mattina. Pochi passi e già grondavo di sudore mentre incedevo determinato ma lento sotto il peso che gravava sulle spalle, sulle gambe e sulla schiena. Non avevo fretta, avevo abbozzato una tabella di marcia che comprendesse anche gli eventuali temporali pomeridiani previsti dal meteo e da cui non volevo farmi sorprendere prima di aver raggiunto una zona con parecchi sgrottamenti naturali.

Arrivai a Colle Bandiera dopo circa un’ora; l’acqua del fontanile mi aspettava fresca per darmi sollievo, una sorta di rifornimento di energie per poter proseguire. Lo spettacolo che mi si presentava davanti era quello che conoscevo da anni e di cui mai mi sarei disinnamorato!

Majella, Abruzzo

Il sentiero in quel punto costeggiava dall’alto la zona dei famosi pastifici, quella lunga ferita naturale, quel taglio sinuoso alla quota di circa 500 metri s.l.m. che si insinuava fin sulle cime più alte del gruppo montuoso. La parte bassa di questa zona prende il nome di Valle del Fossato, mentre la parte centrale è denominata Val Serviera, che termina come Valle del Forcone.

A Colle Bandiera si è tentati di affacciarsi nel profondo fossato di cui non si scorge la fine. Spostando lo sguardo, si segue il profilo della valle che separa dal crinale del versante da raggiungere. Girando lo sguardo in senso orario, si scorgono in basso grotte naturali, un tempo occupate dai pastori della zona, dei veri e propri funamboli transumanti.

Andando oltre con lo sguardo potevo scorgere il mio itinerario o intuirne la zona. Più a destra si intravedevano i pendii che scendono da Cima Macirenelle e un sentiero per poterla raggiungere. Lì il percorso attraversa alcune zone ricche di grotte abbandonate, frequentate d’estate da muli e cavalli o da compagni d’avventura in serate davanti ad un falò sotto le stelle.

Lo spettacolo è impressionante e lascia attoniti per la sua grandiosità. Ero immerso in un piacevole torpore, preso da un principio di meditazione profonda e da un dialogo silenzioso con la montagna e con la Dea che la rappresentava. Ma dovetti svegliarmi da quelle piacevoli sensazioni, l’obiettivo mi riportava al presente e il peso dello zaino me lo ricordava.

Abruzzo, Majella

Arrivai ad un bivio di sentieri e lasciai sulla destra quello che portava su Cima Macirenelle per andare oltre e seguire le indicazioni per Grotta dei Callarelli. Il sentiero si alzava gradualmente sulla destra per seguire il profilo della valle ed arrivare a nascondersi all’ombra della faggeta. Le prime nuvole davano sollievo, ma lasciavano presagire un probabile cambio di meteo: “Speriamo di no”, pensavo tra me e me; ma ero comunque pronto anche a quell’evenienza ed ero in linea con la tabella di marcia.

Fotocamera in mano, cercavo di cogliere quegli attimi in cui venivo rapito da qualche particolare; e devo ammettere che è una cosa che mi accade spesso in montagna. La natura ha sempre avuto una forte influenza nella mia vita, sin da bambino, e ancora oggi continuo ad estraniarmi e lasciarmi attrarre da essa senza voler far nulla se non seguire quel canto delle sirene.

Penso che lasciarsi permeare da certe sensazioni sia il vero segreto per sopportare la fatica, il caldo, il freddo e i tanti disagi che la montagna potrebbe presentare.

Immerso in questi pensieri e dopo circa quattro ore dalla partenza, mi ritrovai a Grotta Callarelli. Qui mi concessi una meritata sosta approfittando della panca messa a corredo fuori della grotta che, come altre ex grotte pastorali, fu riadattata a rifugio occasionale per escursionisti. Nei pressi della grotta una sorgente di acqua sgorga direttamente dalla roccia e permette l’ultimo rifornimento della giornata.

Grotta, Majella

Ancora oggi, a mesi di distanza da quei giorni, resta vivido il ricordo di alcuni particolari che fecero da sottofondo a tutta l’escursione. Per esempio è stato curioso constatare di aver visto più camosci che esseri umani. Infatti le poche persone furono incontrate nella primissima parte del tragitto, fino a Colle Bandiera, poi più nulla. Eravamo io, i camosci e Maja ovviamente, una presenza costante.

Il senso di solitudine che avvertivo era stato esattamente come me l’aspettavo. Lo avevo cercato e trovato, ed era piacevole, una condizione di perfetta solitudine che oggi è difficile provare:  a chi vuole provare o a chi la conosce e desidera viverla ogni volta possibile le nostre montagne danno questa possibilità.

Ciò non deve essere visto come misantropia, asocialità o come una forma di eremitaggio; ho imparato che vivere certe esperienze in solitudine significa avere capacità di introspezione, anche accusatoria e non per forza accondiscendente, visto che non esiste controparte.

Vagavo con la mente tra i meandri della mia vita e in quelli dell’ambiente costellato di grotte ed anfratti. Mai distratto, i sensi sempre all’erta, lo sguardo che anticipava i miei passi per non sorprendere qualche vipera dormiente mimetizzata in quel disordine di pietre e pini mughi.

Con queste riflessioni si conclude la prima parte di questo itinerario nel cuore della Majella. La prossima settimana, un nuovo capitolo.
Raianaraya – Nature Experience

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Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.

La Costa dei Trabocchi: Abruzzo on the road

La costa dei trabocchi è la prima tappa del nostro itinerario in Abruzzo on the road. Questo nostro viaggio inizia tra i paesi del litorale abruzzese. E alla scoperta delle spiagge più belle site tra Ortona e Vasto.

La costa dei trabocchi

La prima meta sulla mappa è uno dei campeggi più suggestivi sulla costa dei trabocchi: il campeggio Ripari di Giobbe. Questo è ubicato nell’omonima riserva naturalistica e al principio del rinomato tratto costiero.

Quest’incantevole area del litorale abruzzese si estende per decine di chilometri transitando per alcuni dei borghi più suggestivi della Costa dei Trabocchi.

Infatti, è un tratto del versante Adriatico in cui si può per davvero respirare un’atmosfera di pace. Tipica delle piccole località marittime, la tranquillità qui domina incontrastata, ben distanti dal baccano e dal frenetico turismo mondano.

Ed è proprio qui che a bordo della nostra auto, ha inizio il nostro viaggio on the road. Ma prima di proseguire, non siete curiosi di conoscere le origini di queste mastodontiche costruzioni in legno che emergono dal mare?

Campeggio Ripari di Giobbe, Costa dei Trabocchi, Abruzzo
Campeggio Ripari di Giobbe, Costa dei Trabocchi, Abruzzo

Leggi anche: Abruzzo on the road: Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

Perché si chiamano Trabocchi d’Abruzzo

Ad un primo sguardo, i trabocchi ricordano le preistoriche palafitte sul mare, strutture rudimentali e primitive che attraggono per la storia che custodiscono e per le caratteristiche uniche in sé.

Come nobili guardiani della costa, i colossi in legno sorvegliano le acque dell’Adriatico e ne preservano con gelosia la sua risolutezza. Un tempo, in queste arcaiche dimore sopraelevate, viveva gente del mare, generazioni di pescatori legati al vincolo fondamentale della famiglia e alla forza del lavoro.

Per quanto riguarda la loro origine è piuttosto complesso assegnare una data precisa. I trabocchi appaiono per la prima volta in una fonte del basso medioevo.

Tuttavia, si pensa che l’alba di tali fabbricazioni sia riconducibile all’età dei fenici. Se ne deduce quindi che per secoli, chissà forse per millenni, uomini e famiglie dedite al mare abbiano condiviso la medesima sorte, salvaguardando le coste d’Abruzzo.

Il nome invece si pensa derivi dal dialetto locale, ossia travocche con il quale si intende casa. Ad oggi, tuttavia, non vi è una teoria accreditata ed è la leggenda a plasmare ancora i trabocchi d’Abruzzo.

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Campeggi in costa dei trabocchi: la Riserva Naturalistica Ripari di Giobbe

Tutto inizia dalla Riserva Naturale Ripari di Giobbe. Il camping è a circa 30 minuti da Pescara ed situato in una posizione vantaggiosa sui pendii del promontorio.

Come su terrazzamenti, piazziamo la tenda su un balcone naturale. Immersi nel verde, la location è tra le migliori che potessimo aspettarci. A pochi passi dal nostro stallo, un sentiero conduce verso il mare, alla spiaggia dei Ripari di Giobbe.

Il posto è stato scelto con cura e solo dopo un’attenta perlustrazione nei dintorni. Come su di una piccola collina, tutt’intorno siamo circondati da alberi. E per concludere, abbiamo una veduta a 180° sul mare.

3 giorni con questo paesaggio è un qualcosa che va oltre ogni nostra aspettativa. Ma siamo solo al principio del primo giorno, e la meta reale di giornata è un’altra: Vasto.

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Quali sono i paesi della Costa dei Trabocchi

Lasciamo i Ripari di Giobbe e imbocchiamo la statale in direzione di Vasto. Non vi è posto migliore per guidare delle litorali. Ogni qual volta mi ritrovo a percorrere strade sul mare sono rapito dal momento. In me sorgono una sensazione di pace e una forma di estraniazione inspiegabili.

Copriamo una distanza di circa 40 chilometri, sfiorando le dolci linee dell’asfalto e superando gli incantevoli scenari della Costa dei Trabocchi.

Mappa costa dei trabocchi

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Mappa della costa dei trabocchi, Abruzzo

Ad ogni curva il riflesso del sole rende il mare come scintillante. Un barlume e la luce che attraverso l’acqua modella l’intero scenario: sono quegli sprazzi di un Abruzzo che ancora riescono a custodire gli antichi legami con la natura.

Attraversando San Vito Chietino il nostro sguardo si perde alla vista di quelle immense palafitte. Le remote creature protendono verso il mare, come rami di un salice piangente. E talvolta, sembra quasi che tentino di raggiungere, con le estremità, la superficie dell’acqua.

Altri borghi scorrono dinanzi a noi: Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro fino a giungere a Vasto. Il tragitto è panoramico e lineare; osservando le bellezze paesaggistiche e scambiando due parole tra di noi, raggiungiamo infine l’ambita meta.

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Trabocco, litorale abruzzese

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La costa dei Trabocchi: Vasto

Trascorriamo una splendida giornata al lido di Vasto marittima e approfittiamo nel tardo pomeriggio per esplorare un po’ il centro storico di Vasto paese.

Passeggiamo per le viuzze di Vasto alta fermandoci per ammirare i suoi balconi panoramici. Restiamo affascinati dalla veduta privilegiata sulla costa e in particolare dagli invitanti locali vista mare che assicurano buon cibo.

Sorseggiare una birra in uno dei suggestivi baretti della zona e assistire al caldo tramonto estivo è di sicuro una delle migliori opzioni per concludere la serata. Decidiamo infine di rientrare in campeggio per vivere la nostra prima esperienza in tenda insieme.

Notte sotto le stelle

Una volta giunti, ci dirigiamo sulla spiaggia dei Ripari di Giobbe per guardare le stelle. Il cielo è limpido e sereno. Possiamo infatti distinguere un gran numero di costellazioni.

Sdraiati sulla sabbia, scrutiamo gli astri, le loro dimensioni, la luce più abbagliante e la più fioca. E cerchiamo anche in profondità. Infatti, grazie ad un’App di Google, individuiamo volpecula: la costellazione della volpetta, proprio il nome con cui chiamo la mia ragazza.

Dopodiché, ci rechiamo nel nostro confortevole giaciglio e trascorriamo la nostra prima notte in tenda insieme. Se non si sa dove dormire per visitare la costa dei trabocchi, i Ripari di Giobbe sono proprio un’ottima alternativa.

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Campeggio Ripari di Giove, la costa dei trabocchi, Abruzzo

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Le spiagge più belle in Costa dei Trabocchi

  • Ripari di Giobbe
  • Punta Ferruccio
  • Spiaggia del Cavalluccio
  • Punta le Morge
  • Fossacesia Marina

Dalla nostra esperienza, è questa la lista delle spiagge in costa dei trabocchi che ci hanno colpito.

Il secondo giorno del nostro itinerario on the road in Abruzzo ci ha portati in una località ideale per il silenzio.

Punta Ferruccio è una lunga e sottile lingua di spiaggia poco frequentata e assolutamente perfetta per rilassarsi in Abruzzo. Qui montiamo una sorta di tendone e restiamo il giorno intero in pace senza alcun disturbo esterno.

Se esiste un qualcosa di vagamente simile al nirvana dovrà di sicuro aver a che fare con quella forma di tranquillità che abbiamo sperimentato su questa spiaggia.

Il giorno successivo, invece, forse anche un po’ per caso, siamo finiti sulla spiaggia del Trabocco Mucchiola. Un luogo incantevole in cui abbiamo trascorso circa mezza giornata.

Questa è una spiaggia di ciottoli, come molte in zona, ma al contrario di diverse altre, è di una bellezza disarmante. L’acqua, inoltre, è cristallina e molto più limpida di altre zone limitrofe. Il cielo limpido, la spiaggia bianca, il mare blu e la brezza componevano il quadro perfetto per un relax assoluto e indisturbato.

Infine, in tardo pomeriggio siamo giunti nel vivace centro di Ortona.

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Punta Ferruccio, Costa dei Trabocchi, Abruzzo

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Dopo aver cenato e trascorso alcune ore passeggiando per la cittadina costiera, ritorniamo alla nostra tenda, la nostra casa per i prossimi due giorni. Ai Ripari di Giobbe passiamo l’ultima notte sul mare di questo viaggio on the road in Abruzzo, tra natura e scorci di Abruzzo. Il tutto sicuri che nei giorni successivi sarebbero stati ancora tanti i momenti di libertà e di avventura.

Il viaggio on the road in Abruzzo è solo all’inizio, leggi il prossimo articolo per vivere i tre giorni nel Parco Nazionale d’Abruzzo.

Il Grande Cammino d’Abruzzo: dagli Appennini al mar Adriatico

Autore: Danilo D’Onofrio

Chi di noi non adora cullarsi al pensiero di qualcosa di speciale o di piacevole?

Lo facciamo sin da bambini; con il tempo i sogni cambiano consistenza e tema, ma continuano sempre a nutrirsi del desiderio che un giorno possano avverarsi.

Da amante della natura, della montagna e della mia terra natia, mi cullo in un desiderio che credo sia quello di molti. Si tratta di un sogno che potrebbe avverarsi ed è lecito sperare che sia così. La realizzazione di questo sogno è importante non solo per appagare me, ma anche per la sua utilità: un’immagine che potrebbe rendere la nostra regione la meta nei sogni di tanti.

Questo progetto potrebbe comprendere ogni aspetto ed ogni zona del nostro territorio: mare, colline, montagne, vallate, paesi e tradizioni. Si parla quindi di incrementare l’interesse per la cultura e per l’economia della regione, per un turismo davvero ecologico e sostenibile.

Appennino d'Abruzzo

Questo mio sogno consiste in un trekking che abbracci i diversi gruppi montuosi abruzzesi, appoggiandosi a vecchi rifugi da ristrutturare o da creare appositamente. Questi rifugi potrebbero essere gestiti dalle comunità locali e diventare le tappe giornaliere di un lungo percorso escursionistico. Questa idea di Grand Randonnée abruzzese potrebbe rappresentare il fiore all’occhiello dell’escursionismo internazionale, alla pari o superiore a famigerati trekking presenti ormai nel mondo.

Ognuna delle nostre montagne possiede una caratteristica peculiare: l’aspetto lunare e selvaggio della Majella, il verde quasi impenetrabile delle montagne del Parco Nazionale d’Abruzzo con la sua fauna nota a livello nazionale, le guglie e le pareti del Gran Sasso e la completezza del Velino-Sirente. Tutto questo senza trascurare i Monti della Laga, i Pizii e i Monti Gemelli. Ma l’Abruzzo possiede anche la splendida costa Adriatica, capace di allietare la vista dell’escursionista in montagna e invogliarlo a fare un tuffo al mare dopo le tante scarpinate.

Tutto questo è per dire come sia possibile concatenare una moltitudine di paesaggi in un percorso di trekking lungo diversi mesi e con esso tutto ciò che ne consegue.

Cammino d'Abruzzo

Perché allora non ampliare questo progetto e creare qualcosa che soddisfi anche gli amanti del ciclismo? Si potrebbe costruire un percorso che unisca mare e montagna pedalando sulle dolci colline abruzzesi, tra vigneti ed uliveti.

Tre sono le vallate principali dell’Abruzzo che dal mare si insinuano nel cuore della regione; la Valle del Sangro a sud, la Val Pescara al centro e la Val Vomano a nord. Si potrebbero creare delle piste ciclabili sull’esempio delle vie già presenti al Nord Italia, che possano creare un collegamento dal mare alle montagne.

Ora potremmo avere la sensazione di parlare di qualcosa di utopistico, irrealizzabile e quasi fantascientifico. Ma sappiamo bene che sarebbe LA soluzione e non UNA soluzione per incentivare un turismo rispettoso, all’avanguardia e non dispersivo. Tutto questo darebbe visibilità e respiro a tutto il territorio senza escludere niente e nessuno.

Il grande cammino d'Abruzzo

Dovremmo soltanto sfruttare le potenzialità che la natura ci ha regalato, senza scempi inutili, senza speculazioni e con zero impatto sul territorio. Per fare ciò andrebbero potenziate le vie di comunicazione con servizi appropriati e funzionali. Come ritorno potremmo avere un’inversione di rotta allo spopolamento delle aree interne, potremmo dare lavoro alle piccole realtà locali e scongiurare così lo spettro sempre presente della disoccupazione, specie giovanile.

Sarebbe un turismo aperto tutto l’anno, con diverse attività legate alla montagna, al mare, alle attività sportive e ai prodotti locali che ci hanno reso famosi in tutto il mondo. Sia ben chiaro che questo progetto non debba avere confini, neanche geografici. Infatti questo discorso potrebbe essere ampliato alle regioni vicine, coinvolgendo una realtà ancora maggiore e incrementando un turismo capace di ridare vita all’intero centro Italia.

Questa è la piccola parte di un grande progetto. Un sogno su cui vale la pena scommettere. Uno spunto di riflessione per chi desidera un Abruzzo migliore, in perfetta armonia con la natura. I più grandi progetti nascono spesso dalle idee più semplici, bisogna quindi coltivarle e sperare che qualcuno ne faccia tesoro.

L’Abruzzo è una terra di immensa bellezza tutta da scoprire, esplorala con noi!
Raianaraya – Nature Experience

Autore

Danilo D’Onofrio

Escursionista, amante della natura e dell’avventura. Le montagne abruzzesi sono la sua seconda casa e il suo motto preferito è “Perdersi per riuscire a trovare la giusta via”.